E così anche l’Inps è diventata populista. Inesorabile, il destino che accomuna tutta l’Italia verso una strada lastricata di stupidità, conduce gli enti statali verso ciò che è già toccato alla politica, e che l’ha distrutta. Oggi l’Inps, domani, chessò, l’Agenzia delle Entrate o la Consob un’Autority saranno autorizzate ad abbandonare la terzietà cui sono tenuti e diventare strumento di chi governa, in questo caso del partito anti-casta, il 5 Stelle, che sul tam-tam dell’odio sociale ha costruito la propria fortuna senza fare altrettanto per l’Italia. Non si potrà mai dire abbastanza quanto i deputati che hanno chiesto i 600 euro post-CoVid siano stati indecenti (sono tre, forse cinque, non trenta, non trecento, lo 0,4 per cento del contingente parlamentare), ma va anche ricordato che lo hanno fatto sulla base di una legge votata dai 229 deputati che nei giorni del lockdown rappresentavano la maggioranza parlamentare a trazione 5 Stelle e Pd, e che forse non si sono resi conto di cosa stavano votando.

Anche per loro allora dovrebbe valere il principio della sospensione o delle dimissioni. E certamente non è stato detto abbastanza quanto sia stato grave il comportamento dell’Inps e del suo presidente Tridico, non nuovo a campagne populiste e di sicuro non ostile a Di Maio. Quel lancio il sasso e ritiro la mano, quelle informazioni disponibili da maggio e vincolate da privacy ma tirate fuori a un mese dal compimento del referendum che deve decidere se si devono tagliare i parlamentari o no, ci dicono molto della fine che sta facendo la macchina dello Stato. Ricapitoliamo rapidamente: Conte in fase Covid il 17 marzo vara un decreto che prevede il famoso bonus da 600 euro per le partite Iva. Per fretta, non si fanno differenziazioni fra i beneficiari. Ne avranno diritto tutti, anche i redditi alti. È un errore, ma tant’è. Con il Parlamento dimezzato, in quel periodo, e con i tempi strettissimi, sul decreto viene posta la fiducia. Decreto approvato, presenti al voto alla Camera 354 (su 630), favorevoli 229, contrari 123. E così chiunque può fare richiesta per quei soldi, anche i parlamentari, che non hanno quindi compiuto alcun reato, dato che la scarsità di intelligenza non è ancora perseguibile.

Ma chi salta col sangue agli occhi sulla ennesima vergogna della casta? Il capo del partito di maggioranza al governo, cioè quello che ha fatto la legge (così come ha fatto il reddito di cittadinanza finito a mafiosi e criminali vari), Luigi Di Maio. E sulla base di cosa? Di informazioni coperte da privacy che gli vengono fornite dal capo dell’ente previdenziale di Stato, nominato col benestare dei 5 Stelle. Il quale di fatto a questo punto ha in mano, conoscendone l’identità, i destini dei tre o cinque eletti dal popolo percettori di bonus, i quali, non dichiarandosi (e ne hanno il diritto) consentono che il discredito colpisca indiscriminatamente tutta la “categoria”.

Ma è una cosa normale? Ed è normale che dobbiamo credere che solo Tridico conosca questi nomi? E se qualcuno un giorno, con la scusa della privacy, dicesse che tra i percettori di questo bonus ci sono anche una decina di grillini? Suggerimento per Conte: meglio concludere al più presto questa pantomima e convocare un Consiglio dei ministri per modificare con decreto la legge incriminata. Basta un attimo e i nomi escono legalmente: i titolari di cariche elettive per questioni attinenti a retribuzioni, emolumenti, corrispettivi pubblici di ogni ordine e grado non possono beneficiare della legge sulla privacy. Una riga e tutto si sistema. Conte ne fa tanti di dpcm e di Consigli dei ministri, può farne uno sulla trasparenza cui lui e i 5 Stelle che lo hanno espresso tanto inneggiano.

Oppure può farsi dare i nomi dall’Inps tramite il Ministero del Lavoro (vigilante e controllante) e diffonderli assumendosene la responsabilità. Non può consentire, invece, che si continui a giocare sul filo del non detto lasciando sulla graticola il Parlamento a un mese da un referendum fondamentale per il futuro della democrazia. Altrimenti questo sarà solo il primo episodio di una lunga serie in cui l’organo rappresentativo del popolo italiano si ritroverà in mano a enti dello Stato che potranno disporne secondo necessità del momento o interessi di chi in quel momento governa. E cioè da controllore di chi governa si troverà invece controllato da chi governa.