Morti e gaffe
Boris Johnson all’angolo, la gestione della crisi in Gran Bretagna un disastro
«Quando sei al comando – spiegava l’ex premier britannico Tony Blair – raccogli 100 idee: di queste, 50 già le attui, 47 sono sciocchezze e 3 sono ottime». Il più, verrebbe da aggiungere, è sapere riconoscere quali siano quelle 3. Sicuramente lo scorso marzo, quando Boris Johnson, affidandosi ai suoi consulenti scientifici, pescava dal cilindro l’idea di “mitigare l’impatto” del coronavirus per perseguire l’immunità di gregge, non si aspettava di compiere il primo grande passo falso della sua carriera politica. Dopo aver sottovalutato la pandemia, perché troppo intento a occuparsi della Brexit e aver disertato i primi Cobra meeting, (le riunioni del gruppo strategico che si occupa di gestire le grandi emergenze nazionali), Boris Johnson ha continuato a inanellare errori politici e strategici e la Gran Bretagna è diventata il secondo Paese al mondo per numero di vittime.
Noto per essere approssimativo, tendenzialmente superficiale e poco attento ai dettagli, BoJo sprecando le tre settimane di vantaggio che aveva sull’Italia ha tentato la sua carta: «Ci faremo guidare dalla scienza». Una promessa e un alibi. Il consulente scientifico Patrick Vallace, colui che a Sky News si lasciò sfuggire quel concetto di immunità di gregge che tanta indignazione ha poi generato, ha restituito al mittente ogni responsabilità. «La scienza informa ma è la politica che dispone». E anche in Gran Bretagna, le disposizioni di una politica dimostratasi incapace di fare sintesi hanno generato solo confusione. A pagarne il prezzo anche le ambizioni di quell’eccezionalità britannica che sognava un nuovo grande Regno Unito grazie alla Brexit e si è ritrovato invece sempre più piccolo e isolato. L’Europa è mancata sin da subito, quando Westminster si è rifiutata di entrare nel centro unico di acquisto per gli equipaggiamenti sanitari, lasciando il paese drammaticamente sprovvisto e costretto a comprare qua e là roba per lo più inadeguata. Il Regno, invece, si è rimpicciolito quando Scozia e Galles, informate a mezzo stampa della scelta di Downing Street di passare alla Fase 2, hanno chiuso le frontiere per proseguire il Lockdown. Tutti in ordine sparso; tutti film già visti in Italia.
La cifra politica di Boris Johnson, l’incrollabile fiducia in quell’“andrà tutto bene” sorretto da un giocoso e intramontabile ottimismo, come ha ricordato il Financial Times in una durissima critica, non può però offrire un rifugio in tempi di pandemia. Qui serve una leadership capace di confrontarsi con il risveglio della Politica, che ha una parola forte per gestire i dettagli anche più spinosi e capisce l’emergenza dando risposte.
Nel Paese dove certo ha più senso evocare Winston Churchill, il paragone non regge nemmeno per lo spettinato ex giornalista (unico tratto in comune tra i due) che al momento non può più consolarsi nemmeno con i sondaggi che ultimamente danno il gradimento del suo governo in calo. Il problema è che adesso la pandemia presenterà anche il conto economico, già descritto dal Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, (40 anni, serio e molto attento ai dettagli) come una grave recessione. Secondo il Think Tank indipendente Resolution Foundation, la disoccupazione toccherà quota 10% e a essere colpiti, tra gli altri, ci saranno quasi un milione di giovani con meno di 25 anni.
E a quel punto gli slogan non basteranno più. La comunicazione pop delle frasi d’effetto, che ha fatto il successo di tanti politici populisti come Boris Johnson, non potrà più bastare. “Get Brexit done”, fare la Brexit, è stato un cavallo di battaglia che insieme a “Riprendiamoci il controllo e la nostra sovranità” hanno consegnato a BoJo le chiavi di Downing Street. Un politico perfetto per vincere le elezioni, Johnson, ottimo per lo stato di campagna elettorale permanente, come nella tradizione inaugurata da Bill Clinton e importata nel Regno Unito da Tony Blair. Il problema, fa notare il giornalista Peter Oborne, è che non è più tempo per fare girare la ruota della politica all’impazzata, è tempo di dare sostanza e concretezza. Quando i nodi vengono al pettine, gli slogan non sono più una risposta. Interpellato dal Financial Times, Tony Blair ha dato un consiglio al Primo Ministro: «Bisogna circondarsi di molte persone capaci per non sovraccaricare quelle poche che ci sono». Una delle critiche rivolte a questo esecutivo è proprio quella di aver ingaggiato le seconde file del partito conservatore. Come conseguenza, l’entourage del Primo Ministro è costituito da un ristretto “cerchio magico” considerato non dei migliori, che taglia fuori anche membri del Gabinetto e del governo.
Johnson consulta solo pochi fedelissimi e soprattutto ha tentato troppo a lungo di eludere il Parlamento. «In una democrazia parlamentare come la nostra – chiarisce Oborne – il Primo Ministro deve rendere conto all’aula; mentre lui ha tentato di governare sulla falsariga del modello presidenziale americano», salvo poi parlare direttamente al popolo con dei messaggi televisivi. Una strategia che ha deliberatamente tentato di delegittimare la House of Commons e che non ha pagato. La solida democrazia britannica ha retto e non appena BoJo ha rimesso piede in un’aula pur decimata dal social distancing imposto dalle regole antivirus, si è trovato davanti un avversario con il quale non si era mai misurato: il nuovo leader dei laburisti Sir Keir Starmer. Lo showman contro l’avvocato di esperienza.
Se Starmer avrà le doti di leadership mancate al suo predecessore Jeremy Corbyn si vedrà, ma già appare chiaro il suo stile british gelido e tagliente, molto diverso dai fuochi d’artificio di Johnson. Starmer, carte e dati alla mano, ha inchiodato BoJo alla responsabilità del Governo nella strage nelle case di riposo che conta il 40% delle vittime da Coronavirus. Senza puntare a un clamore immediato e spesso volatile, Starmer ha infilato la lama in una delle ferite aperte nella pandemia, lo scandalo che esploderà quando le emozioni saranno sedate e resterà la lucida conta dei danni. «Al momento – ci spiega il prof Iain Begg della Lse – nessuno vuole prendere il timone di una nave in piena crisi, ma se, come prevedibile, il prossimo anno ci sarà un’inchiesta su queste morti, Boris Johnson potrebbe trovarsi nei guai».
E la sua sfortuna, gli fa eco Oborne è che a differenza di Margaret Thatcher, che aveva commesso lo stesso errore di chiudersi un una cerchia ristretta di consiglieri ma godeva dell’effetto TINA “There Is No Alternative” (non c’è alternativa a me), adesso le alternative si stanno preparando e non avranno nessuno scrupolo a scaricare BoJo se necessario. Ma i Conservatori dovranno stare attenti perché a sinistra, sotto la guida di Sir Keir Starmer, anche l’opposizione laburista ha cambiato passo e pare essersi destata.
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