Eccoci all’economia, nella quarta e ultima delle puntate dedicate a Brand Italia.
La manovra di bilancio in discussione.
Le manovre finanziarie – due concluse, una in lavorazione – sono caratterizzate dalla volontà di implicare il meno possibile l’immagine del governo attorno ai provvedimenti assunti. La prima, andata in continuità con Draghi con limiti in ordine alle politiche fiscali, a parole tema strategico ma poi rimaste inalterate, dunque influenza decisiva dell’apparato. La seconda ha messo a terra 28 miliardi concentrati su taglio del cuneo fiscale e nuova Irpef a tre aliquote. Ma le attese per scuola e sanità sono rimaste deluse. La terza in corso scende a 23 miliardi, con ansie di fronteggiamento delle spese indifferibili, il rapporto tra politica e scelte strategiche prende tempo. In sostanza l’immagine del governo scivola negli atti dovuti cercando di metterci poco la faccia e intestandosi il minimo indispensabile.
Una storia emblematica della “classe dirigente”. L’evoluzione di immagine in rapporto all’italianità della famiglia imprenditoriale italiana più importante del ‘900, gli Agnelli, ora con eredità mescolate ad altri affari.
Le carte bollate che entrano di prepotenza in una vicenda in cui nel ‘900 niente avrebbe varcato le soglie di riservati trattamenti e ora finiscono in telenovela sui media, sono la misura della trasformazione del rapporto di dedizione dei nostri più famosi imprenditori verso l’Italia e le sue territorialità in una fuga stellare da questa etica per trasferirsi nel business finanziario globale. A quell’etica sono rimasti alcuni piccoli e qualche medio imprenditore di territorio. Per il resto siamo all’involuzione di responsabilità che corrisponde anche all’evanescenza stessa della borghesia italiana, con la classe operaia che approda al voto di destra per fragilizzazione di ruolo e sicurezze.
Lo specifico del made in Italy (un tassello rilevante del brand Italia considerando due voci di maggior prestigio: Ferrari e Moda.
L’impressione è che la bandiera del “core business” del brand Italia alzata dal governo a richiamo di felici intuizioni degli anni ’80, abbia perso la sua forza sia nella crisi dei sistemi produttivi (made in Italy come produzione non più integrale nel territorio) sia nella difficoltà di mantenere primati a fronte dell’ingresso nell’area della qualità di paesi produttori a costi più contenuti. Anche qui la finanziarizzazione tiene in equilibrio i conti economici ma non le strategie competitive. L’affanno di Ferrari in ordine ai risultati agonistici (non nel merchandising) e l’avanzata della colonizzazione francese dell’alta moda italiana sembrano fatti non reversibili.
Una piccola voce dell’economia della cultura: il posizionamento internazionale del cinema italiano.
Nell’anno del 90° della Loren e del 100° della nascita di Mastroianni – colonne della proiezione internazionale del cinema italiano nel ‘900 – viene d’istinto mettere questo “vettore di immagine” in una rassegna pro/contro il brand Italia. Impresa difficile perché il cinema italiano c’è, chiude un 2023 dignitoso (120 milioni di incasso e 18 milioni di presenze, anche se con crescita più dovuta a C’è anche domani di Paola Cortellesi che a dimensioni di sistema) e poi nella prateria planetaria deve vedersela con handicap storici (dimensioni, investimenti, controllo dei sistemi di consumo di massa).
Tuttavia, restano indizi che hanno poco a che vedere con la politica ma con la cultura di adattamento che il settore manifesta (fatto emblematico nazionale per cui c’è questa voce su un tema non di prima fila). La Chimera di Alice Rohrwacher entra nei best of del Time (c’è anche Rapito di Marco Bellocchio). Paolo Sorrentino fa partire da Cannes con Parthenope un tema legato a stereotipi e cambiamenti di Napoli che è importante per l’Italia. Vermiglio, di Maura Delpero (Italia, Francia, Belgio), premiato a Venezia, 4° in classifica al box-office, rappresenterà l’Italia agli Oscar. Nelle celebrazioni dell’anno Christophe Honoré ha portato a Cannes Marcello Mio! con Chiara Mastroianni che interpreta sé stessa. D’accordo, frammenti. Ma non è il deserto.
Che profilo di immagine unisce i quadretti che abbiamo delineato in queste puntate?
Quello di una fase a guida “conservatrice”. L’espressione scelta da Giorgia Meloni per presentarsi all’Europa. Lo sguardo al futuro è occasionale e fugace. Quello al passato è motivato da piccoli regolamenti di conti e da un attivismo comunicativo dedicato più alla persona della premier che al rinnovamento dell’identità italiana. Questa malintesa politica “conservatrice” è all’origine di forti equivoci nella manutenzione del brand Italia che ha bisogno di respirare futuro. Lo spazio qui si è però esaurito. Se ne riparlerà in altra occasione. Tra l’altro guardando anche a società, costume e cultura. E si faranno controprove su rispetto a questa per ora generica impressione.