Brand Italia, perché il nostro paese resta al 9° posto: l’indagine del Nation Brand Index

Da un mese all’altro l’indice di reputazione di una nazione – salvo guerre e tracolli – non può cambiare di molto. E infatti non ci sono fattori rilevati se non di medio e lungo periodo. Quindi il “posizionamento reputazionale”, nel suo complesso, nel breve periodo appare lineare. E parlando dell’Italia – sempre in generale – per la verità anche prendendo un tempo lunghetto, diciamo un anno, la posizione in classifica generale non muta un gran che.

L’indagine del Nation Brand Index

È il Nation Brand Index, inventato anni fa da Simon Anholt, oggi gestito in collaborazione con Ipsos, ad allineare annualmente le nazioni (e, con altro indice, anche le città) in cui nel bel mezzo del 2024 l’Italia è registrata al 9° posto. Come era anche nel 2023. Vista così, questa stabilità appare positiva, sia perché stiamo parlando di una graduatoria mondiale con dentro paesi che sono antichi monumenti di buona immagine ma, da tempo, anche new entry che arrivano con nuovi risultati da ogni parte del mondo. Prima o poi – lo disse una volta proprio Anholt – qualche ribaltone ci sarà. Per ora, solo piccoli spostamenti, ma in un top ten in cui gli equilibri tutto sommato resistono.

Facendo sempre attenzione che l’indagine tiene poco conto dell’oceano delle parole che accompagna storia e cronache del mondo. La stragrande maggioranza dei terrestri non dà retta alle parole. Contano le icone che ciascuno trattiene dentro di sé come metafore di quella storia e di quella cronaca. Di solito poche, allusive, a volte vive nella vita delle nazioni, altre volte da un pezzo in soffitta ma presenti nell’immaginario collettivo del pianeta (Mussolini è stato associato all’immagine dell’Italia nel mondo quasi fino alla fine del secolo scorso). A guardare gli andamenti, il top ten presenta fluttuazioni al centro, ma in alto e in basso invece c’è stabilità. Stabili in alto sono i tre paesi di testa, nell’ordine USA, Cina e Germania. Ricordo che non parliamo di dati reali, di misurazioni di PIL, di reddito o di produzione. Parliamo di come gli abitanti del mondo, che conoscono poco il mondo ma lo immaginano, dichiarano – se ben interrogati statisticamente – la loro “immaginazione”. Qualcuno chiederà: ma serve a qualcosa questo dato che in fondo è solo percettivo? La risposta è: certo che serve, anche se con cautela. Perché quell’immaginazione è un potente rivelatore di desideri e di riluttanze. Non sulla base di riscontri concreti, ma sulla base del risultato di una battaglia immateriale tra narrazioni, fantasie, stereotipi in incremento o in riduzione e una certa quota anche di fake news.

C’è stabilità nel top ten anche “in basso”, cioè dal 7° al 10° posto. Nell’ordine: India, Canada, Italia, Corea del Sud. Dal 2023 al 2024 crescono invece di una posizione il Giappone (ora 4°) e UK (ora 5°). Mentre flette di una posizione la Francia (6°posto e ce lo si aspettava). Dunque, secondo gli sperimentati ranking anglosassoni, l’Italia è considerata capace di tenere la posizione (pur essendo nel recente passato anche arrivata al 6° o al 7° posto) in un contesto in cui l’erosione è lenta ma continua. E proviene da paesi dell’area terza del sistema mondiale che si avvicinano (Indonesia è 16° ma cresce di una posizione; Messico è 18° ma cresce di tre posizioni; Brasile è 19° ma è tornato a risalire quest’anno di 1 posizione; eccetera).

Il posizionamento dell’Italia

Il 9° posto non è insomma un declino di immagine, è una posizione di difesa dei fattori forti che – a fronte della grande maggioranza dei terrestri – assumono valori che non sono forti per tutti. Tuttavia, anche per l’Italia il vento della concorrenza (in questo campo è una gara tra “sirene”) soffia eccome. Bisogna tenere a mente che questo dato globale – che viene ricavato da un panel statistico globale accuratamente bilanciato – forma un esito molto ben approssimato circa l’immaginario planetario. Ma poi è quasi inservibile quando si ragiona o si agisce nei singoli contesti del mondo, quelli che si chiamano “aree regionali” dove si sviluppano scambi, mobilità e conflitti. È un po’ come il dato sul PIL pro-capite. Buono a sapersi, ma questo non serve molto a capire se il vicino di casa ha i soldi per pagare le spese condominiali. La stragrande maggioranza delle miliardate di esseri umani che popolano la Terra attribuisce reputazione a ciò che la minoranza di quei popoli, cioè noi (non dico i lettori del Riformista, dico gli occidentali) non considera fattori importanti di “reputazione”. Valori diversi di buono, di bello, di agognato, di desiderabile.

Forse la parola “inservibile” è un po’ esagerata. Perché, in fondo, in quel giudizio di reputazione, tutto di carattere percettivo, spesso da lontano, lontanissimo, in cui non può giocare un gran peso il presente reale in tutte le sue forme, mette in campo tuttavia il passato, con tutti i suoi sedimenti. E giocano alcuni elementi strutturali, naturali, ambientali, legati a grandi radici o a cose di vasta notorietà, come, per esempio, il cibo, l’eleganza, la musica, lo spettacolo, eccetera, campi su cui l’Italia ha un posizionamento alto che viene da lontano. Dunque, in fondo, questo è un vero patrimonio nella borsa dell’immaginario.