Mentre scrivo è arrivata la notizia che le 104 persone, soccorse dalla Ocean Viking oramai 11 giorni fa, potranno finalmente sbarcare a Pozzallo. Tra loro 41 minorenni, di cui alcuni neonati, e due donne incinte. Non basta incontrare le ong, come ha fatto venerdì scorso la ministra Lamorgese, se poi per giorni si ignora il diritto internazionale e gli obblighi basilari di soccorso che da esso derivano, come ha denunciato Piero Sansonetti ieri dalle colonne di questo giornale.

Da un lato è vero che il governo non ha utilizzato le norme del decreto sicurezza bis, il quale prevede che il ministro dell’Interno – di concerto con il ministro della Difesa e con il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti e informato il presidente del Consiglio – possa limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale. Ma seppure senza avvalersi di quei poteri, il governo ha omesso comunque di rispettare gli obblighi che il diritto internazionale pone, a partire da quelli previsti dalle Convenzioni Solas e Sar, le quali impongono agli Stati competenti di prendersi in carico i naufraghi individuando e fornendo al più presto la disponibilità di un luogo sicuro (Place of Safety – Pos), inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti garantita.

Come segnala il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, le crisi in mare del governo gialloverde sono durate in media 9 giorni; l’auspicio è che il nuovo governo non voglia, nel silenzio generale, connotarsi per una ancora maggiore disumanità come è successo in questo caso, sbloccato dopo 11 giorni di inutile sadismo. Certo, qualcosa è cambiato rispetto al precedente governo: ci sono meno morti e dispersi in mare e il numero di salvataggi da parte delle ong è maggiore. Ma più di 4 migranti su 10 vengono tuttora riportati in Libia, paese le cui condizioni sono drammaticamente peggiorate a causa di un conflitto prolungato con effetti gravissimi sui cittadini libici e sulle decine di migliaia di migranti presenti sul territorio.

È notizia di ieri l’approvazione di una sorta di “codice Minniti libico” per le ong: un atto gravissimo oltre che illegittimo, dal momento che la Libia – che, ricordiamolo, non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati –  non può impartire ordini né imporre obblighi in acque internazionali. Ma alle autorità di quel paese, frammentate, corrotte, colluse con i trafficanti, è arrivato un mandato a svolgere il compito di bloccare le partenze dalle proprie coste dall’Italia e dai suoi partner europei. Un mandato arrivato insieme a 150 milioni di euro concessi dal 2017 per finanziare la formazione della Guardia costiera libica e del personale impiegato nei centri di detenzione, come ha sottolineato proprio ieri Oxfam Italia.

Alla base di tutti i problemi ci sono proprio gli accordi Italia- Libia stipulati nel 2017 in modo “semplificato” – cioè senza un dibattito e una ratifica parlamentare – che rischiano di essere rinnovati automaticamente tra pochi giorni, il 2 novembre. È oramai innegabile il fallimento dell’iniziativa di stabilizzazione che ha visto il nostro paese protagonista in questi anni, e il conseguente aggravarsi della crisi umanitaria con la violazione sistematica dei diritti umani di migliaia di uomini, di donne e di bambini provenienti da molti paesi africani; per questo da mesi chiedo l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione di tali accordi e sull’operato della Guardia costiera libica. È inaccettabile anche solo pensare di proseguire su questa strada quando sarebbe di tutta evidenza necessario uno sforzo della comunità internazionale (se ha ancora senso usare questa espressione) per organizzare un piano di evacuazione dalla Libia, ma il silenzio del governo a pochi giorni dalla fatidica data non lascia ben sperare. Anche perché il rinnovo può essere tacito, appunto. Lo stesso silenzio che pare essere calato anche sui naufragi che solo grazie alle ong non si trasformano in stragi, e che investe infine un’altra fondamentale questione, strettamente collegata al governo dei flussi migratori: la normativa italiana sull’immigrazione. La cosiddetta legge Bossi–Fini, infatti, attualmente non consente ingressi legali nel nostro paese per ricerca di lavoro e non prevede alcuna possibilità di regolarizzazione per chi è già qui; si conta che gli irregolari in Italia siano almeno 500mila, e le stime più accreditate prevedono che, anche per effetto del primo decreto sicurezza, saliranno a 700mila nel 2020.

La propaganda salviniana –  cui l’azione del precedente governo di centrosinistra ha in qualche modo preparato il terreno –  ci ha fatto credere che l’urgenza fosse bloccare poche decine di naufraghi a qualche miglio dalle coste italiane. Ma se si vuole guardare alla questione immigrazione non con gli occhi della propaganda, bisogna riconoscere che la vera urgenza, oltre a garantire senza indugi il salvataggio in mare e la protezione internazionale, è quella di avere una normativa che preveda la possibilità di ingresso nel nostro paese in relazione al fabbisogno del nostro mercato del lavoro e che promuova, a determinate condizioni, la regolarizzazione di chi è già qui. Su questo c’è una proposta di legge di iniziativa popolare (promossa da Radicali italiani con Fondazione Casa della carità, Acli, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cnca, A Buon Diritto, Cild, e con il sostegno di numerose organizzazioni impegnate sul fronte dell’immigrazione, tra cui Oxfam, ActionAid, Federazione Chiese Evangeliche Italiane e Comunità di Sant’Egidio), proposta di cui sono relatore e su cui l’esame in Commissione affari costituzionali alla Camera, avviato mesi fa, procede a rilento. L’11 luglio scorso un convegno alla Camera dedicato a questa proposta, a cui hanno partecipato tra gli altri Banca d’Italia, Confindustria, Cia, Istat, Inps e Fondazione Leone Moressa, ha messo in luce l’opportunità di una riforma di questo tipo. Nella tavola rotonda dedicata alle forze politiche, quelle che all’epoca erano contrapposte e oggi hanno dato vita a una nuova maggioranza si erano dette favorevoli o comunque disponibili a un confronto; la discontinuità e la coerenza della nuova maggioranza si misurerà anche su quanto tempo sarà necessario per farla discutere in aula.  Una discontinuità che sulla gestione dei flussi migratori nel suo complesso stenta ad emergere.

Riccardo Magi

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