Brexit, c’è l’accordo tra Ue e Regno Unito: stop Erasmus, ecco cosa cambia per gli europei

FILE -- In this Wednesday, Dec. 11, 2019 file photo, Britain's Prime Minister and Conservative party leader Boris Johnson poses as he hammers a "Get Brexit Done" sign into the garden of a supporter, in Benfleet, England. Britain and the European Union have struck a provisional free-trade agreement that should avert New Year chaos for cross-border traders and bring a measure of certainty for businesses after years of Brexit turmoil. (Ben Stansall/Pool via AP, File)

La trattativa è durata mesi estenuanti ma alla fine c’è l’accordo post Brexit tra Ue e Regno Unito. Un accordo di libero scambio che seppellisce l’incubo di un traumatico ‘no deal’ commerciale. E che, se non cancella lo scossone storico del divorzio e dei contraccolpi che non potranno non seguirne, fa svanire almeno i timori di una rottura traumatica: l’ombra di un caos doganale, di una guerra di dazi, di conseguenze sulla stretta cooperazione fra l’isola e il continente in settori cruciali come la sicurezza o come la ricerca scientifica, vitale in tempo di emergenza Covid.

“Tutto ciò che è stato promesso all’opinione pubblica britannica durante il referendum del 2016 e nelle elezioni politiche dello scorso anno è garantito da questo accordo”. Lo si legge in una nota di Downing Street, arrivata subito dopo l’accordo raggiunto con l’Ue sulla Brexit, ribadendo che è stata recuperata la sovranità del Regno Unito.
Soddisfatta ma non felice per il divorzio amichevole anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: La “strada è stata tortuosa ma abbiamo ottenuto un buon accordo, bilanciato ed è stato la cosa giusta da fare per entrambe le parti”, ha detto in conferenza stampa.

Il testo, 2000 pagine di dettagli tecnici da scrutinare riga per riga, è stato definito a Bruxelles dopo un anno di trattative fiume fra i team negoziali guidati da Michel Barnier e dal lord David Frost. Fino a tradursi nel più grande trattato di libero scambio mai concepito al mondo (668 miliardi di sterline di giro d’affari nel 2019) e nel primo patto bilaterale del genere “a zero dazi e zero quote”.

Un accordo annunciato separatamente ai rispettivi fronti interni dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal premier Tory britannico, Boris Johnson, alfiere per antonomasia del referendum che nel 2016 innescò il passo d’addio. Entrerà in vigore dal primo gennaio, alla scadenza esatta di quella fase di transizione che Johnson non ha voluto categoricamente estendere. In regime provvisorio, fino al completamento dei necessari processi di ratifica che Westminster potrebbe chiudere in forma sprint addirittura fra Santo Stefano e Capodanno, ma che il Parlamento Europeo intende portare a termine con cura e senza fretta: a inizio 2021, secondo il suo presidente David Sassoli.

La quadratura del cerchio è avvenuta anche sui punti più controversi: dall’allineamento normativo del cosiddetto level playing field utile a scongiurare rischi di concorrenza sleale su temi come i diritti dei lavoratori, le tutele ambientali o gli aiuti di Stato; alla governance sui contenziosi futuri (con l’esclusione di qualsiasi ruolo della Corte di Giustizia Europea); sino al dossier della pesca, piccolo ma ostico. Punti definiti per lo più grazie a compromessi incrociati, a dispetto dei proclami di vittoria negoziale sbandierati ora dalle due parti (Londra in primis): come nel caso della pesca, risolto con conteggi “sgombro per sgombro”, secondo fonti diplomatiche.
Von der Leyen ha salutato la svolta “con soddisfazione e sollievo”, ma non con gioia, di fronte a quello che resta un divorzio, seppure amichevole. Mentre ha parlato di un’intesa equilibrata, rispettosa degli interessi europei e che permette di lasciare ora “la Brexit alle spalle” rimanendo “partner”.

E toni simili sono venuti da Giuseppe Conte, da Angela Merkel, da Emmanuel Macron e da altri leader. Johnson, a cose fatte, ha da parte sua potuto alzare i pollici, rivendicando di aver mantenuto le promesse (non tutte in realtà), di aver restituito “la sovranita’” e “il controllo” al Regno in uscita dal mercato unico e doganale e di aver rimesso “il destino” nazionale nelle mani del suo Paese.

Un Paese che resta “amico e alleato” dei 27 dell’Ue, oltre che “principale mercato” del continente, ha rimarcato. Ma che, in attesa di chissà quali nuove opportunità globali, si prepara intanto ad affrontare “cambiamenti” inevitabili e – almeno nell’immediato, non ha potuto fare a meno di ammettere BoJo – non tutti indolore. Come ad esempio accadrà, fra tanti altri, con il tramonto definitivo della piena libertà di movimento a cavallo della Manica, con il ritorno dei visti, con un regime d’immigrazione più severo, con la rinuncia britannica agli scambi di studenti del programma Erasmus. Senza dimenticare i malumori interni al Regno: primi fra tutti quelli dei secessionisti scozzesi, la cui leader, Nicola Sturgeon, non ha perso tempo a rilanciare la propria sfida: “La Brexit – ha twittato – arriva contro la nostra volontà. È tempo che la Scozia diventi una nazione europea indipendente”.