L'editoriale
Brics, la commedia di Kazan. Una folla inerme senza nome e dignità
A Kazan, tra i Brics, va in scena solo una commedia, ma ormai tutti sanno che potrà diventare il nuovo fulcro del mondo. Perché, dall’altra parte, ad andare in scena è il dramma. Scrisse Indro Montanelli che lo scossone finale all’impero romano venne dall’interno, da un popolo di cittadini non più orgogliosi di esserlo, non più devoti ai loro culti e ai loro dei.
Vladimir Putin sa bene cosa accade nel campo nemico, e anzi lo agevola come può cercando di truccare le opinioni e le elezioni. Perciò sogna un ritorno di quella storia dove i barbari vincono senza sforzo, per disgregazione degli altri. Nulla accomuna davvero i russi a cinesi e indiani, peraltro fra loro rivali, e tantomeno a Iran, Brasile, Egitto o Sudafrica. Ma la carta vincente dei Brics è il suo “statuto” iper-semplice: voler superare il secolo americano e non aver bisogno di alcun certificato di democrazia. Non conta avere idee condivise, basta non condividere quelle del nemico. Non è importante ottenere dei risultati, tantomeno quelli che peserebbero davvero come la valuta anti-dollaro.
I numeri dei Brics
Aderire al nuovo ordine mondiale è un gioco da ragazzi, o meglio da dittatori. Già, la forza intrinseca del nuovo schieramento è il patto fra i governi che non tiene in alcun conto i diritti dei governati. I numeri dei Brics sono impressionanti: come pil superano di poco il G7 ma come abitanti del pianeta siamo al 45% contro il 10%. Ma questa moltitudine di esseri umani è simile al “volgo disperso che nome non ha” di Alessandro Manzoni. Folle inermi usate come pedine sul tavolo dei vincitori. Senza nome e anche senza dignità, neppure quella del voto e della parola.
Paolo Mieli è così pessimista sulla forza dell’Occidente, da attendersi proprio dai Brics i passi concreti verso accordi di pace in Ucraina e in Medio Oriente. Difficile dargli torto, se si osserva lo stato a tratti comatoso delle istituzioni che oggi rappresentano l’estremo presidio delle democrazie. La lentezza delle decisioni, l’ossessione della polemica, il dilagare di paure, convenienze e connivenze, il prevalere di interessi di parte magari inglobati in residue manie di grandeur. Ma la bussola di questo mondo in declino resta la libertà, e il suo modo di funzionare è imperniato sul pluralismo e i diritti delle persone. L’Europa assediata, non a caso, si concede il lusso di fare i conti in tasca al sistema ungherese o a quello turco, e l’America al bivio corre sul difficilissimo equilibrio fra sostegno a Israele e contrasto ai suoi eccessi militari.
Un urlo silenzioso
Anche i governanti occidentali cedono sempre più spesso alla tentazione della chiusura e dell’autoreferenza, quando non addirittura a quella di strizzare l’occhio ai paesi emergenti. È un altro sintomo della malattia di chi non crede più fino in fondo a sé stesso. Eppure, ci sono quasi quattro miliardi di persone che urlano in silenzio. Se la loro voce si potesse udire, direbbe che i nuovi aspiranti padroni del mondo non parlano in loro nome. Anzi, sono quelli che hanno le chiavi delle loro gabbie.
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