Domani, 29 settembre. La cassazione si riunirà e dalla sua decisione si saprà se due persone potranno restare libere o dovranno varcare di nuovo la soglia di un carcere. Sarà un risveglio problematico e pieno di aspettative quello di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, i due che furono protagonisti di quella “Mafia Capitale”, l’invenzione che infangò la capitale d’Italia nel mondo e che in realtà non esisteva.

Ma quella visione albergava nella mente di un gruppo di magistrati coraggiosi, il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto Michele Prestipino, i pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini. Nomi di prestigio, le cui carriere non saranno mai scalfite da quel flop clamoroso, dopo che avevano scambiato per mafia le attività di un gruppo di affaristi che si davano da fare nel sistema degli appalti all’interno della Regione Lazio. Dopo una vicenda giudiziaria piena di colpi di scena durata ormai otto anni, domani mattina i giudici di legittimità saranno chiamati per la seconda volta a un eventuale ricalcolo degli anni di pena inflitti ai due principali imputati, condannati rispettivamente a 12 anni e dieci mesi (Buzzi) e 10 anni (Carminati) di reclusione.

Il pasticcio tecnico-giuridico nasce proprio in quell’incriminazione per associazione mafiosa che nel 2014 fu un vero terremoto politico con una eco mondiale. All’opinione pubblica non interessava conoscere come fosse formulato un articolo del codice penale, il 416 bis, che oltre a tutto è un unicum nel mondo. Quello che comporta, perché si possa stabilire se un’associazione a delinquere è di tipo mafioso, il fatto che i suoi protagonisti si siano avvalsi della forza di intimidazione e dell’assoggettamento delle loro vittime, con una capacità di presenza effettiva e concreta su tutto il territorio. Nella vulgata di tutto il mondo, tra la gente normale, se si dice che a Roma c’è la mafia, si immaginano i corleonesi armati, i cittadini impauriti e i cadaveri sul selciato. Se in più ci si mettono giornalisti e intellettuali fiancheggiatori dei pm a sfornare libri e fiction televisive, chi mai poi andrà a vedere la differenza tra la divulgazione e la sentenza?

Un punto fermo però è stato messo, il 22 ottobre del 2019, quando la sesta sezione penale della corte di cassazione ha stabilito che “Mafia Capitale” non era mafia. Sconfessata la tesi del procuratore Pignatone, che in seguito andrà a presiedere il tribunale vaticano, continuando a diffondere sui quotidiani le proprie pillole di saggezza giuridica. E il suo aggiunto Prestipino che resterà al suo posto, dopo che il Csm tenterà invano di collocarlo nel ruolo che era stato del suo capo, nomina cassata per via amministrativa. Nessuna macchia scalfirà neppure le carriere dei tre pm, appartenenti alla corrente di Magistratura democratica, Tescaroli oggi aggiunto a Firenze,Ielo nello stesso ruolo a Roma, Cascini al Csm.

Chissà se qualcuno di loro avrà mai pensato a quegli imputati, colpevoli o innocenti che fossero dei reati di corruzione o di estorsione o anche di associazione per delinquere, ma non mafiosi, che avevano trascorso oltre cinque anni nelle carceri speciali, trattati come boss di Corleone. Sarebbe sufficiente questa considerazione, a ritenere che forse il debito con la società è stato pagato a sufficienza. Salvatore Buzzi su tutta la vicenda ha già scritto un libro (Se questa è mafia, con Stefano Liburdi) molto voluminoso perché ricco di carte e documenti. Struggente il racconto personale del momento dell’arresto, suo e della sua compagna, con la loro bambina che li guardava, loro e quei signori in divisa che erano entrati in casa all’alba del 2 dicembre del 2014, dalla cima delle scale. Da quel momento, per 1.784 giorni ha vissuto in regime di massima sicurezza. Giusto, per un mafioso, ritengono i magistrati.

La sentenza di merito ormai non è più in discussione, da quel 22 ottobre di tre anni fa. Dopo che in primo grado il tribunale aveva stabilito che la mafia non c’era ma, quasi a farsi perdonare la decisione che andava controtendenza rispetto all’accusa e agli organi di informazione, aveva erogato i massimi della pena per ogni reato. E poi l’appello che aveva ridimensionato gli anni di carcere ma aveva stabilito che invece la mafia c’era. E infine la cassazione che aveva messo il punto fermo e ingiunto a un’altra corte d’appello di ricalcolare gli anni di carcere. Ed è così che per esempio Salvatore Buzzi si è ritrovato con un fardello di dodici anni e dieci mesi, solo in parte scontati, in seguito a una singolare “reformatio in pejus” della pena non motivata, così come senza spiegazione è rimasta una sua richiesta di patteggiamento.

Ma, se questi calcoli sono l’oggetto della seduta di domani in cassazione, molti dubbi restano su alcuni aspetti politici delle sentenze, con tribunali che non hanno voluto vedere una parte delle raccomandazioni e della corruzione nel mondo degli appalti nella Regione Lazio che lo stesso Buzzi ha confessato e illustrato nel dettaglio, non creduto. È questo l’argomento del nuovo libro, che uscirà tra un mese circa, con un’intervista dello scrittore e regista Umberto Baccolo. Si parlerà anche di un ex Presidente di Regione, eletto al Parlamento tre giorni fa. Con qualche piccolo scoop. Come passerai la giornata di attesa, Salvatore? Con la mia famiglia. Ma intanto, per scrupolo, ho chiuso il mio pub. Ma spero di riaprirlo. Te lo auguriamo, la tua pena l’hai già scontata.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.