Le illimitate comparsate di Massimo Cacciari in Tv (ultima quella a Otto e mezzo) segnano, ogni volta che si parla dei vaccini, una completa rivincita di Platone. La ossessiva ribellione televisiva alle implicazioni del foglio verde riabilita l’antico pregiudizio contro la retorica, una ambigua “tecnica di combattimento” la chiamava Platone. Il timore del filosofo greco era che, in una controversia su argomenti rilevanti per la città, si potesse riscontrare la prevalenza della opinione del non competente rispetto a quella formulata “dai tecnici del mestiere”.

L’avversione al magismo della parola nasceva in Platone dalla constatazione che, dinanzi al pubblico in larga maggioranza incolto, la argomentazione di sicuro più seduttiva introdotta da un abile costruttore di frasi avrebbe agevolmente prevalso sulle ben più corroborate asserzioni di uno specialista del settore. Il credere dai molti prestato al suono anche musicale delle argomentazioni avrebbe sopraffatto il nudo ragionamento del sapere ogni volta che le parole del tecnico-scienziato e le seduttive metafore del filosofo retore si fossero presentate dinanzi a un giudizio dell’uditorio. Scriveva Platone nel Gorgia che chi ha «il potere di persuadere la massa attraverso la forza della parola», ovvero di esercitare «la persuasione nella psiche», vince agevolmente il confronto con lo specialista ancorato alla freddezza dei numeri.

In molte trasmissioni televisive, nelle quali c’è libertà di opinare inoltrandosi sino alla disinformazione come ha giustamente notato Stefano Feltri ospite di Lilli Gruber, esce confermata la preoccupazione di Platone. Nell’arena della demagogia post-moderna che sono i talk show trionfano le ipotesi mediche di Cacciari, secondo cui «i vaccini non sono abbastanza sicuri», le notizie delle autorità sanitarie sono del tutto menzognere, i dati sugli effetti della somministrazione sono maldestramente fallaci, lo Stato di diritto e la legge positiva sono stati calpestati. L’audience potenziale di un personaggio che sbuffa è assai più rilevante della funzione pubblica della informazione.
Ricorrendo a pie’ sospinto a quello che Platone chiamava «il trucco capace di rendere persuasiva» anche una cosa errata, Cacciari asserisce che il fallimento dei vaccini è confermato da ciò che accade in Israele dove tra i nuovi contagiati spiccano proprio i vaccinati (quota statisticamente del tutto comprensibile però in un universo di così diffusa vaccinazione). Da filosofo che contende al virologo i segreti dello specialismo, Cacciari certifica la scomparsa dell’emergenza pandemica (non si capisce allora la sua pretesa di un ricorso alla legge sulla obbligatorietà dei vaccini) e da filosofo che indica al medico il vero proclama che i vaccini sono «molto precari».

Come filosofo del diritto annuncia che con il Covid è per sempre finita la certezza del diritto, che è stata annichilita la dignità della persona, che l’emergenza sanitaria affrontata con degli obblighi non è che uno strumento dei governi (quindi i poteri liberali sarebbero solo quelli di Bolsonaro, Trump) per instaurare un definitivo e liberticida stato di eccezione. Le performance reiterate di Cacciari sono ricercate dai conduttori perché le intemperanze e le esagerazioni fanno ascolto, poco importa delle conseguenze delle spigolose pietre filosofiche sulla vita delle persone. E anche questo andazzo nichilistico della Tv sembra dare ragione a un pronostico di Platone. «Se un retore e un medico andassero in una qualsiasi città e si dovesse ingaggiare una discussione nell’assemblea popolare o in qualunque altra adunanza per decidere quale dei due debba essere scelto come medico, il medico scomparirebbe e sarebbe eletto il retore, se solo lo volesse».

Confidando in questa prevalenza dei paralogismi sulla coerente asserzione, della persuasione sul sapere, i filosofi alla Cacciari danzano con le parole incuranti del principio di contraddizione, ricevono dal relativismo funzionale del talk la licenza di disinformare. La retorica degenerata è infatti una merce agognata nel mercato televisivo capace di vendere al pubblico la persuasione che un filosofo la sa ben più di un medico, di un costituzionalista.