Cacicchismo, limite al cambiamento: la lezione di Francesco Saverio Nitti

I l cacicchismo è la diretta conseguenza dei limiti – potremmo parlare anche di fallimento – del regionalismo nostrano. Francesco Saverio Nitti, nel corso dei lavori della commissione, che alla Costituente, aveva il compito di redigere il titolo V, esprimendo la sua contrarietà alla nascita delle Regioni, ebbe a dire: “Nelle Regioni voi creerete Parlamenti per ridere e Ministeri embrionali. Se volete piccoli Parlamenti, dovete avere anche piccoli Ministeri e prima o dopo i capi delle Regioni si considereranno veri Ministri e dovranno anche essere pagati. Non vi viene il dubbio che non avete i mezzi?” E ancora definì i nuovi Enti “piccoli Stati più o meno seri, più o meno efficienti, più o meno inutili ma certamente costosi. Lo Stato dovrà pagare ciò che gli Enti non possono e lo Stato si avvia a non poter pagare. Quale sarà la finanza dell’ordinamento regionale?” Tranchant, ma profetico.

Quello che fu scritto e votato nel 1948 in Costituzione si è realizzato solo nel 1970 con la nascita delle Regioni. Trentadue anni dopo! Questo fa capire come quel progetto regionalista avesse dei seri problemi. Federalismo mancato, decentramento confuso. Ai costituenti non si può rimproverare nulla. Fecero tutto il possibile per mettere dei paletti, ma la spinta al decentramento fu una esigenza più politica, per cancellare la ‘centralista’ dittatura fascista, che funzionale ai destini del Paese. L’evoluzione del regionalismo non ha portato miglioramenti e oggi ci ritroviamo al bivio, dovendo decidere sull’Autonomia differenziata. Maggiori e più poteri alle Regioni senza però avere sciolto preventivamente il nodo della responsabilità e del buon funzionamento dell’intero sistema delle Autonomie.

Le Province entrano ed escono, i Comuni diventano metropolitani. Sia ben chiaro la riforma è necessaria e urgente ma deve essere completa e unitaria, non a pezzi. Il percorso di riforma dovrà, però, fare i conti con il sistema dei poteri che si è consolidato attorno al modello gestionale delle Regioni. Dal Nord al Sud, anche se con risultati diversi. I numeri della finanza pubblica decentrata fanno venire i brividi. Un sistema che si è cementato attorno a quelli che Nitti definiva “i nuovi piccoli Capi di Stato alla guida dei nuovi Enti Regionali”. I Cacicchi appunto. Non tutti lo sono o lo sono stati, ma la tendenza è quella. Quella che nel linguaggio della politica è sotto il nome di cacicchismo. Un esercizio del potere su base locale, personalistico, orientato ad avere, nell’area ristretta di controllo politico e gestionale, tutto il possibile. In una maniera o nell’altra tutti i Presidenti delle Regioni vogliono attribuite maggiori competenze e materie. Lo scontro è sul come e dove le risorse verranno destinate.

È una questione di soldi, meno di cambiamento e modernizzazione. Sarebbe prioritario, invece, introdurre il concetto di governo delle funzioni e di programmazione anche economica, prima ancora dei Lep e fabbisogni standard. Di questo nessuno se ne occupa e i rigidi perimetri amministrativi delle attuali Regioni sono sempre più un limite al buon governo. Il ciclo integrato delle acque, il ciclo dei rifiuti, i porti e la logistica, le reti sanitarie e la mobilità hanno bisogno di nuove aree geografiche più ampie, diverse e più idonee, di nuovi modelli di governo più focalizzati ed efficienti. Forse anche di nuovi ‘Organi comuni’ così come recita l’ottavo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Una nuova macro area di funzione sul modello delle macroregioni europee. Un comma di un articolo che, se efficacemente applicato, genererebbe effetti rivoluzionari.

Al contrario, la strenua difesa degli angusti perimetri amministrativi è la strada per garantire una lunga vita al cacicchismo. La gestione e il controllo del potere locale piuttosto che risolvere i problemi del Paese. Al Governo e ai “piccoli capi di stato” più lungimiranti, il compito di capovolgere questa vecchia e cattiva prassi.