La cultura giustizialista
Caiazza contro Giletti, lo sfogo: “Avvocati sotto attacco, siamo persone per bene”
Avvocato Caiazza, durante la puntata di domenica di “Non è l’Arena” appena lei ha citato il codice penale e la Costituzione per spiegare perché anche per i condannati per mafia è possibile accedere alla detenzione domiciliare per motivi di salute Massimo Giletti ha sbottato: «Mi sono rotto le balle di giocare con i numeri, con i dati e con gli articoli…. Vedere i mafiosi a casa mi dà lo schifo».
Intanto ci tengo a dire una cosa: Giletti ha detto con molta lealtà che era rimasto molto male per il mio articolo sul vostro giornale. Nonostante ciò ha scelto di invitarmi nella sua trasmissione. Ed io ho apprezzato questo suo gesto. Detto questo, è evidente che la trasmissione è stata impostata su un piano emotivo e suggestivo, quindi indifferente agli argomenti che ho pacatamente cercato di proporre. Si sta facendo una campagna su un certo numero di provvedimenti dei tribunali di Sorveglianza che pochissimo hanno a che fare con l’emergenza covid e con la circolare del Ministro Bonafede. Però poi alla fine parliamo sempre di quei due o tre detenuti che erano al 41 bis.
Anche per loro vale il diritto alla salute.
Il diritto alla sospensione della pena in caso di gravi condizioni di salute vale per tutti, anche per i detenuti per fatti di mafia; è chiaro che se a queste argomentazioni si contrappone il ricordo di Carlo Alberto dalla Chiesa, la storia degli attentati a Rino Germanà, e l’intervista a Di Matteo che racconta la sua vita sotto scorta si sceglie di non confrontarsi con gli argomenti razionali e giuridici.
Qualche anno fa il professor Daniele Giglioli in “Critica della vittima” ha scritto: «La vittima è l’eroe del nostro tempo. Essere vittime dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. È tempo però di superare questo paradigma paralizzante, e ridisegnare i tracciati di una prassi, di un’azione del soggetto nel mondo: in credito di futuro, non di passato». È d’accordo nel dire che politica e stampa spesso strumentalizzano le vittime e il loro dolore per chiedere sempre più carcere e pene più severe?
Sicuramente questo è un problema cruciale che nasce da un equivoco di fondo: il reclamare il rispetto di principi costituzionali basilari – umanità della pena, diritto alla salute senza distinzione rispetto alla gravità dei reati – viene inteso e rappresentato come una forma di distanza dal dolore delle vittime di quei reati. Questo è quanto di più ingiusto, gratuito e per certi versi violento si possa fare nei confronti di chi ha una cultura liberale del diritto e della garanzie. Il richiamo alle regole non ha nulla a che fare con il giudizio sociale sul crimine e sulle vittime del crimine.
Giletti l’ha accusata di attaccare i giornalisti indipendenti come lui. La stessa cosa ha fatto Nino di Matteo qualche giorno fa quando ha detto che l’avvocatura ha attaccato i magistrati liberi.
In questa cultura populista e giustizialista, che fa un uso strumentale del dolore delle vittime, l’avvocato diviene un fiancheggiatore dei suoi assistiti.
E infatti ad un certo punto Giletti le ha detto: «Noi siamo persone oneste». Lei ha risposto: «Anche gli avvocati».
Esatto, in quella esclamazione sincera e convinta di Giletti la categoria che rappresento viene percepita come estranea al mondo delle persone perbene. Secondo lui abbiamo una morale borderline perché c’è un equivoco clamoroso, grossolano per cui veniamo sovrapposti ai nostri assistiti.
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