Game over. Con una sistemata agli occhiali, la cravatta rossoblù di sghimbescio e le braccia al cielo. L’addio di Claudio Ranieri non è stata una sorpresa. Ma colpisce che nei tre minuti e passa del video-saluto non abbia accennato al club e al suo presidente. Evidentemente, anche per la leggenda Leicester (“Aver vinto la Premier vale quanto la promozione con il Cagliari o il secondo posto con la Roma”) c’è un limite. L’uomo dal quale chiunque comprerebbe un’auto usata ha chiuso il cerchio.

Senza esitazioni, signorile e con eleganza: “È dura. Ma questo è il momento giusto per lasciare”. Sir Claudio e la sua “The last dance”. Alla Domus, dopo aver salvato il Cagliari, contro la Fiorentina che vince 3-2 nel recupero e affina i canini per la finale di Conference, ha timbrato la panchina numero 1.400. La Domus si è messa in piedi, anche arbitri e avversari hanno applaudito. La cornice giusta per un signore, con le parole e i fatti. Originario di San Saba, cuore di Testaccio, chiamato dai compagnetti “er fettina” per il padre macellaio: “Ho visto i miei genitori sgobbare senza sosta. Non mollo mai, ho imparato da loro”. Diventa calciatore, viene svezzato alla Roma da Manlio Scopigno.

I maestri? Di Marzio e Mazzone. Secoli fa. Da allenatore è l’unico ad aver giocato i quattro derby più importanti d’Italia. Adesso, pur con un altro anno di contratto, ha detto basta. “Eterna riconoscenza per un grande uomo. Grazie mister” scrivono gli ultrà su un drappo di cinquanta metri. Dopo mezzo secolo da calciatore e da tecnico, si è chiamato fuori. Troppe le recenti richieste inevase. Esagerato il business e il marketing di una visione societaria che lo ha convinto poco. Un mondo spesso sguaiato, doppiogiochista, opaco. Eppure, lascia Cagliari (“State tranquilli, mi rivedrete, non sarà facile liberarsi di me!” dice in sala stampa) e il Cagliari dopo aver compiuto il secondo miracolo rossoblù in diciotto mesi.

Con una rosa modesta Ranieri ha scritto un’altra pagina indelebile di storia dei Quattro mori. Lui, definito da un tabloid inglese l’eterno secondo, sa tagliare corto: “Signorina, mica mi offendo, sa! Conta avere la coscienza a posto e lasciare un buon ricordo. E ho la fortuna di aver colto tanti risultati” la risposta con voce ferma. Dignità, ieri e oggi. “Il mio viaggio è iniziato qui nel 1988 grazie agli Orrù. Tre anni stupendi con due promozioni e una salvezza. Poi, sono andato via e sono diventato grande. Adesso mi sembra giusto lasciare, dopo una promozione, inaspettata quando sono arrivato a gennaio 2023, e la salvezza arrivata domenica con il Sassuolo. Avevo detto che ci saremo salvati all’ultimo secondo dell’ultima partita, perché avevo in mente il gol di Pavoletti a Bari, l’anno scorso al 94’. Sì, ho ancora un anno di contratto ma è giusto lasciare”.

L’allenatore e l’uomo. Capace di mettere in agenda il suo credo: “Il Cagliari sarà l’ultima squadra che allenerò”. Il passo indietro viaggia assieme al Ranieri day in salsa isolana. “Quando Tonino Orrù mi ha chiamato, era la scommessa della mia vita. Potevo bruciarmi, neanche sapevo se avrei fatto l’allenatore. Da allora ho Cagliari dentro”. Sir Claudio torna lo scorso gennaio. Squadra agonizzante, quattordicesima, a un passo dai play out. Trasforma, rimotiva e compatta il gruppo. Scrolla tossine e apatia. “Gigi Riva mi ha convinto dicendomi che avevamo un’intera regione dietro”. In curva cantano “Claudio Ranieri, uno di noi”. Lui, abbozza. “Klopp ha pianto nel salutare il Liverpool? Non so se riuscirò a trattenere le lacrime”. Non ci è riuscito. A Cagliari, che l’ha insignito della cittadinanza onoraria, è di casa. E non è un modo di dire. Dal mercato di san Benedetto ai ristorantini della Marina, ai bar con il caffè che magari prenderà il suo nome.

Lo si incontra spesso. “Io leggenda come Zola e Riva? La comparazione con Gianfranco, che ho lanciato nel Napoli post Maradona e ho avuto al Chelsea, mi sta bene. Gigi lasciamolo riposare in pace”. Misurato, mai una virgola fuori posto. Spesso sbeffeggiato per i complimenti agli avversari: “Siamo dentro un gioco bellissimo, si vince e si perde”. Attico in centro a due passi dal porto, lunghe passeggiate con la moglie Rosanna, pochi ma fidati amici. Da sempre disponibile a bordo campo quanto attento a una privacy scrupolosa. Amante dell’arte e della nautica – con la moglie cura e segue numerose attività anche in ambito immobiliare – va via dalla Sardegna dopo aver dato una lezione di umiltà.

Adorato dalla tifoseria, Ranieri non ha avuto bisogno di tirare la monetina. A Cagliari ha scritto la storia, meglio non sciuparla. Rischiando di ripartire con un mercato in cui fingono di fargli toccare palla, tra interferenze, soluzioni senza logica e last minute. Meglio chiamarsi fuori per tempo. Con un sorriso e l’ennesima magia. Lo scorso febbraio, alla quarta sconfitta di fila e penultimi in classifica, si dimette dopo la prova imbarazzante contro la Lazio alla Domus. Lo trattengono i veterani con in testa capitan Pavoletti: “Certo che sarei andato via. A Roma l’ho detto e fatto!”. Rimane. Stringe i denti, soffre. Rintuzza il fuoco amico, blinda la squadra. E capovolge il copione di una rosa per ventisette gare tra le ultime tre, difesa e attacco tra le peggiori cinque. Si salva con un turno d’anticipo. Il trucco? Ha protetto i suoi ragazzi. È stato un mostro nel creare spirito di squadra, mentalità, sacrificio. Li lascia tra le migliori venti d’Italia. Ed esce alla sua maniera. Vedute diverse, modi distanti anni luce dal già consigliere d’amministrazione dell’Inter.

“Presidente, perché chiunque incontri, tutti mi parlano male di lei?” ha risposto a un cronista che gli chiedeva di Giulini. I sassolini sarebbero tanti. Sir Claudio va oltre. E si gode con orgoglio le manifestazioni d’affetto che arrivano da mezza Europa. Pensa ai tanti sostenitori “che ci hanno sempre soffiato dietro, anche quando le cose andavano male”. Coraggio, onestà e mestiere, merce rara per tanti. Dice basta all’essere mantello buono e parafulmine per la tifoseria, utile a coprire inadeguatezze e insufficienti mezzi finanziaria: non a caso il patron ha dettato la possibilità di poter lasciare. Lo aspetta la famiglia. “Faremo qualche viaggio, sono stato ovunque ma ho visto solo stadi!” ironizza. La moglie Rosanna e la figlia Claudia – sposata con l’attore Alessandro Roja (il Dandi della serie Romanzo criminale) – che gli ha dato i nipotini Orlando e Dorotea, sono il focolare. Manda un abbraccio a tutti i sardi, tifosi e sportivi. “Mi sento uno di voi, fin dalla prima volta”. Pagine del passato. In bianco e nero. Ma le emozioni sono a colori. Come l’essere da sempre vicino e solidale con i compagni del Catanzaro, dove ha conosciuto Rosanna ed è stato il giocatore-capitano con più presenze dal 1974 al 1982.

Il presente sa di coccole e fiabe: “Sì, il nonno farà finalmente il nonno!”. A seguire, buoni film, letture accurate, sport in tv, weekend a Londra, zona Belgravia dove ha preso casa ai tempi dei Blues. E tante cenette speciali: “Il mio ristorante preferito? Casa nostra, mia moglie è una cuoca straordinaria”. Un taglio forte, dunque, dal mondo pallonaro. Almeno di club. Perché “se ci fosse un progetto serio proveniente da una Nazionale, ci penserei. Ma vi conosco, badate che non mi sto candidando per allenare l’Italia!”. Settantatré anni da compiere il 20 ottobre, laurea ad honorem in Scienze dello sport a Perugia, Grande ufficiale e Palma d’oro della Repubblica, in panca in Inghilterra, Spagna, Grecia e Francia, qualcosa come una ventina di riconoscimenti personali, varie promozioni e undici trofei. Altro che secondo di successo. Sir Claudio lascia con un auspicio: “Auguro a chi prenderà il mio posto di avere lo stesso affetto che ho avuto io”. The end.

Mario Frongia

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