L'udienza sui pestaggi
Calci, pugni e torture in carcere Antigone e garanti: “Noi parti civili”
Centootto imputati fra poliziotti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria, circa duecento avvocati del collegio di difesa più un centinaio quelli delle vittime, con garante campano Samuele Ciambriello e associazione Antigone tre le parti civili perché «è una battaglia di civiltà tesa a restituire al sistema penitenziario la sua dignità, anche in nome di tutte le migliaia di operatori penitenziari che con grandi sacrifici, quotidianamente, operano nelle carceri del nostro paese» sottolinea il garante.
Inoltre, 43 faldoni, centinaia di chat e intercettazioni, capi di imputazione che vanno dalle lesioni all’abuso di autorità, dal falso in atto pubblico alla cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine, morto in cella a un mese dalle percosse. E infine un’accusa, tortura, che per la prima volta viene contestata in un procedimento che riguarda il mondo penitenziario e della quale saranno chiamati a rispondere circa cinquanta agenti. Sono questi i numeri del processo sui pestaggi del 6 aprile 2020, «l’orribile mattanza» come la definì il gip che firmò le misure cautelari. Si comincia questa mattina con l’udienza preliminare davanti al Pasquale D’Angelo. Aula bunker del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è qui che si terrà il maxiprocesso sulle violenze subite dai detenuti del reparto Nilo del carcere sammaritano. Il presidente del Tribunale, Gabriella Casella, assicura «che tutto è pronto».
L’aula, di recente ristrutturata, potrebbe teoricamente ospitare tutti i 108 imputati. Di questi, solo venti si trovano ancora agli arresti domiciliari e oggi il gup D’Angelo deciderà se accogliere o meno la richiesta di proroga della loro misura cautelare avanzata dall’aggiunto Alessandro Milita e dai sostituti Daniela Pannone e Alessandra Pinto. Era il 28 giugno quando l’inchiesta arrivò a una svolta, ci furono i primi arresti e 23 misure di sospensione dal lavoro per poliziotti e funzionari, incluso l’allora capo del Dap in Campania, Antonio Fullone, tuttora sospeso dal servizio. Le telecamere interne al carcere ripresero i detenuti del reparto Nilo mentre venivano costretti a uscire dalle celle e imboccare corridoi di agenti in assetto antisommossa e pronti a picchiarli con calci, pugni e manganellate al loro passaggio. Non fu risparmiato nemmeno un detenuto sulla sedia a rotelle. Furono quattro ore di inferno.
Dopo la mattanza, molti dei picchiati furono messi in isolamento nel reparto Danubio ad aspettare che andassero via i segni delle percosse. Lakimi Hamine, un ventenne algerino con problemi psichici, da quell’isolamento uscì morto il 4 maggio, quasi un mese dopo i pestaggi: per la sua morte dovranno rispondere in dodici, fra funzionari, agenti e medici. Nella ricostruzione accusatoria, da domani al vaglio del giudice preliminare che dovrà decidere se e per chi disporre il rinvio a giudizio, c’è anche spazio per accuse relative a tentativi di depistaggio con cui alcuni agenti e funzionari avrebbero provato a falsificare certificati medici e tenere nascosta la mattanza di quel 6 aprile. Intanto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere la tensione continua a essere alta, e non solo perché si è alla vigilia dell’udienza preliminare. Da giorni c’è un focolaio Covid, 61 contagiati, e tra i detenuti è sempre più diffusa la paura.
L’altra sera nel reparto Tevere ci sono state tensioni alla notizia di un nuovo detenuto positivo e due agenti sono rimasti feriti. Il sindacato della polizia penitenziaria Sappe denuncia che dopo le violenze del 6 aprile 2020 nulla è cambiato, anzi la situazione è anche peggiorata. Il sovraffollamento continua a essere un grande problema, e in particolare nel carcere di Santa Maria Capua Vetere gli arresti e le sospensioni, dovute all’inchiesta sui pestaggi di un anno e mezzo fa, hanno dimezzato il numero già insufficiente di personale in servizio, e la penuria di educatori, psicologi e assistenti sociali sta avendo conseguenze ancora più gravi ora, con l’emergenza Covid in atto.
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