"Servono soluzioni straordinarie"
Calenda: “Tsunami mondiale mai visto, dialoghiamo con il governo ma non abbiamo numeri per sostituire la Lega”
Intervista all’ex ministro che oggi inaugura a Roma il congresso di Azione con Meloni: “Rischiamo una brutta recessione e dobbiamo fermare Putin. Nel rispondere alla crisi c’è molta più coerenza tra me, Gentiloni e Tajani che dentro le coalizioni”

Incontriamo Carlo Calenda, leader di Azione, mentre prepara gli ultimi dettagli del congresso del partito che si apre oggi a Roma.
Che congresso sarà?
«Per noi il secondo congresso, che segue il primo di due anni e mezzo fa. Ci sarà un confronto tra il governo – con Meloni, Giorgetti, Crosetto e Fitto – e il Pd, con Gentiloni, Guerini, Picierno e Boccia. Ci sarà anche Mario Monti. I tavoli saranno dedicati all’Europa, alla Difesa e all’economia. L’idea è quella di trovare un luogo dove ci si possa confrontare senza attaccarsi».
Importante il segnale della presenza di Giorgia Meloni, che parlerà.
«Una partecipazione importante e inusuale. La nostra è una opposizione anche dura ma di merito. Non facciamo mai attacchi personali ma facciamo opposizione sui provvedimenti: se li troviamo giusti li votiamo, se li troviamo ingiusti li contrastiamo. Cercando sempre di lavorare alla pars costruens, alle soluzioni».
Sempre distanti da centrodestra e centrosinistra. C’è spazio per il terzo polo?
«Certo che c’è. Anzi io ritengo che non solo ci sia, ma che tutto questo tsunami mondiale renda la collocazione internazionale centrale. Spaccando trasversalmente i poli. Questo non vuol dire che al centro ci sarà un terzo polo fatto da quattro partiti».
A quale polo pensa?
«A quello che vediamo sulla base delle risposte da dare. Che oggi ci sia oggi più coerenza di pensiero tra me, Gentiloni e Tajani piuttosto che tra alleati all’interno delle due attuali coalizioni, è sicuro».
Sarà necessaria una riforma elettorale in senso più proporzionale, per dare valore alle posizioni centriste a scapito delle coalizioni?
«Noi abbiamo dato vita a un discreto terzo polo con la legge elettorale che c’è. Credo che parlarne oggi, con i chiari di luna che ci sono per la situazione internazionale, sia secondario. Chiediamo il consenso agli elettori per rispondere a un’emergenza senza precedenti, a prescindere dai sistemi e dalle alchimie. Siamo dove ci hanno messo gli elettori, al centro. Cosa succederà tra due anni è del tutto imprevedibile».
Quello che ha definito tsunami mondiale rischia di travolgere la maggioranza di governo, intanto, con Meloni molto accomodante con la Casa Bianca…
«Ci sono due aspetti: quello che penso io di Trump e quello che può dire e fare chi sta al governo. Lei dice che Meloni privilegia il buon rapporto con lui. Anche Macron, faccio notare, ha detto di sentire Trump tutti i giorni: nessun capo del governo gli sta sbattendo la porta in faccia, stiamo parlando del presidente degli Stati Uniti, il primo alleato dell’Europa. Tutti sperano in qualche tipo di ravvedimento. Io posso esprimere la mia idea liberamente, non essendo al governo: secondo me Trump vuole distruggere l’Europa, o almeno sottometterla. E lo vuole fare con Putin. Dunque l’Europa è sola. Chi sta al governo però deve tenere i rapporti con Trump, nessuno può dire basta, chiudiamo i rapporti».
Un editoriale del direttore suggeriva a Giorgia Meloni di cogliere la straordinarietà del momento e aprire il governo anche ai centristi, proprio per poter sostenere meglio la Coalition of the Willings…
«L’allargamento delle maggioranze non può prescindere dalle urne: bisogna dire come ci si pone nella legislatura sottoponendosi agli elettori. È sicuro che la coalizione di governo avrà difficoltà crescenti, sulla collocazione internazionale. Ma se il problema è la Lega, noi non abbiamo ad oggi i numeri per sostituirla».
Una difficoltà sulla quale insiste anche quella economica. Automotive e food rischiano di precipitare.
«Si rischia una crisi molto ampia. L’innesco di questa guerra commerciale rischia di portare tutta l’Europa, e l’Italia sicuramente, in recessione. Temo che vivremo di una stagione di enormi difficoltà che hanno bisogno di risposte all’altezza della crisi, anche dal punto di vista economico. Non se ne vede ancora la consapevolezza diffusa».
Il fronte più caldo rimane quello dell’Ucraina. Azione è in prima fila, per difendere Kyiv. Quali soluzioni indica?
«La soluzione che va bene agli ucraini: una tregua che garantisca in qualche misura l’Ucraina stessa da ulteriori attacchi russi. La premier ha fatto una proposta che se si riuscisse a mettere in pratica andrebbe molto bene: l’estensione all’Ucraina dell’art.5 della Nato. La mia impressione è che gli Stati Uniti non ci pensino proprio».
Una sua impressione, perché forse invece Meloni ha intuito che può essercene lo spiraglio?
«Se lei lo dice, forse ha elementi per sostenerlo. Io penso sia difficile che gli Stati Uniti vogliano dare oggi questa garanzia all’Ucraina».
Lei ha presentato un disegno di legge per mappare ed eventualmente isolare gli agenti di influenza russi in Italia. Un problema serio, a guardare i talk show televisivi.
«Abbiamo chiesto che AgCom e servizi facciano un report trimestrale al Parlamento, identificando e quantificando le ingerenze straniere. Per capirci: se Travaglio pensa quello che pensa perché è una sua idea, nulla quaestio. Se ci accorgiamo che i post vengono sostenuti da bot russi, che ci siano legami di affari, etc è chiaro che le istituzioni devono intervenire. In Romania c’è stata evidenza di come l’Intelligenza artificiale generativa stesse sostenendo nel dibattito pubblico i politici filorussi. Va disciplinata questa materia».
Come vede Azione da qui alle prossime elezioni?
«Spero che si rafforzi abbastanza per fare da punto di riferimento per un’area liberaldemocratica che oggi è dispersa e che si riesca in questo modo a costruire una coalizione di centro. Quella che deve riportare la politica italiana a fare i conti con un centro riformista e riformatore che diventi il propulsore del cambiamento».
Non rimanendo da sola, quindi?
«Dobbiamo saper aggregare. E al congresso parleranno i Liberaldemocratici di Marattin, il Pri, Drin-Drin, la fondazione Einaudi. C’è bisogno di tutti, in politica chi non include si autoesclude».
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