Mauro Calise insegna Scienza politica all’Università di Napoli Federico II ed è editorialista del “Mattino”. Ha scritto diversi volumi sulla politica italiana riflettendo, tra le altre cose, sulla trasformazione dei partiti e sul ruolo della leadership.

Il bipolarismo italiano appare sempre più sgangherato. È diventato una rappresentazione fasulla della nostra realtà politica?
«Il bipolarismo non funziona più da nessuna parte in Europa. Basta guardare la Francia e la Germania che erano i paesi guida dell’Unione europea. La Francia si tiene in piedi grazie al sistema semipresidenziale. In Germania siamo con il fiato sospeso in attesa del voto del 22 settembre nel land di Brandeburgo e poi delle elezioni nazionali del 2025. In Spagna il bipolarismo funzionicchia. Nel Regno Unito, prima delle ultime elezioni generali, i conservatori hanno cambiato quattro primi ministri. In Italia siamo riusciti a fare una coalizione di governo di centrodestra che ancora si tiene insieme, ma non c’è più la semplicità degli schieramenti del ventennio berlusconiano. Paradossalmente il bipolarismo funziona solo in America, ma sono sull’orlo della guerra civile».

Al momento di votare per la nuova Commissione europea le forze dei due schieramenti italiani di destra e di sinistra si sono spaccati trasversalmente…
«La stessa Commissione europea, frutto di una maggioranza con popolari, socialisti, liberali e verdi, sembra dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Come si legge su alcuni organi di stampa, sembra addirittura che Giorgia Meloni abbia fatto un piacere a Ursula von der Leyen non votandola. In caso contrario, sarebbe stato difficile per la maggioranza mantenere l’unità e reggere ai conflitti interni. E pure Giorgia Meloni, se avesse dato l’ok alla Commissione avrebbe rischiato di avere franchi tiratori all’interno del suo stesso partito. Alla fine abbiamo avuto un incarico importante anche senza averla votata».

Il Pd è la forza principale del gruppo socialista europeo, pilastro della maggioranza che sosterrà la nuova Commissione europea, ma su von der Leyen si mostra titubante. Addirittura Avs e M5S voteranno contro…
«Il centrosinistra italiano si dimostra sempre più ondivago, rissoso e frammentato. In Europa voterà in maniera disomogenea. Il M5S sta andando a scatafascio. Paolo Gentiloni non potrà fare miracoli. In ogni caso, non è dall’interno che verrà una novità. Le novità verranno solo dalla politica internazionale. Intanto il governo Meloni gode di buona salute».

Sarà, ma anche nel centrodestra le divisioni sono all’ordine del giorno…
«Il centrodestra si tiene a fatica, certo. Ma governare è diventato molto più complicato. Non c’è più un quadro internazionale chiaro. Come abbiamo detto, l’America è spaccata. La stessa Unione europea ha perso la bussola perché la sua strategia di apertura verso la Russia e verso la Cina non ha funzionato. Adesso bisogna aspettare di vedere che cosa succede in America. Se dovesse vincere Trump, la partita in Europa si complica ulteriormente. E si acuiranno le tensioni anche nel centrodestra».

Destra e sinistra sembrano espressioni superate: sono ancora capaci di rappresentare sul piano culturale le differenze politiche di questo momento storico?
«Non ci sono più i blocchi ideologici di una volta. E nemmeno i partiti di una volta. Destra e sinistra non sono più blocchi culturalmente solidi. Adesso ci sono dei leader che mettono in piedi dei seguiti in modo avventuroso. Il paradosso è che là dove destra e sinistra sono visibili, siamo ai limiti della guerra civile. Se vincerà Trump ne vedremo delle belle. E se vincerà Harris non si può escludere il ripetersi di proteste come quelle del 6 gennaio 2021 con l’attacco al Campidoglio. La verità è che ci troviamo in un contesto internazionale multipolare al quale corrispondono contesti nazionali multipolari».

In questo contesto multipolare c’è uno spazio per un polo centrista?
«Basta vedere che cosa è successo nel cosiddetto Terzo Polo. Ci hanno provato per un po’. Poi è finita che Renzi è tornato nel campo largo, Calenda non sa cosa fare e le ex esponenti di Forza Italia, Gelmini e Carfagna, adesso sono ritornate di là. Sulla sorte del centro al momento non si intuisce granché. L’unico aspetto confortante è che, con il livello di volatilità del voto e degli schieramenti che c’è, si può ancora sperare. Sia Renzi che Calenda sono in ritirata. Lo spazio culturale del centro esiste a prescindere da questi personaggi, ma è ballerino sul piano politico».

Come giudica l’iniziativa di Luigi Marattin?
«Ma lei può veramente aspettarsi qualcosa da questa iniziativa? Queste cose riguardano il ceto politico stretto. Nulla a che vedere con il quadro globale che abbiamo delineato: al confronto si tratta di eventi irrilevanti. Aspettiamo di capire che cosa succederà nei prossimi mesi e quali saranno gli effetti a cascata sulle alleanze europee. Dobbiamo guardare oltre il piccolo cortile di casa nostra».

Le riforme istituzionali ed elettorali potrebbero aiutare a ridefinire l’assetto bipolare esistente?
«Conviene ripartire da ciò che c’è in campo adesso. Ogni riforma produce esiti diversi da quelli attesi. Non sappiamo dove andrà la riforma del premierato della Meloni, ma in questo momento non è la priorità e lei non ne ha bisogno. Ciò che è successo in Europa la rafforza».

Che cosa dobbiamo aspettarci allora?
«Non abbiamo certezze. Draghi ha spiegato che serve iniziativa finanziaria per stimolare la crescita europea. L’Europa è in crisi drammatica sulla competitività: se non facciamo come suggerisce Draghi non abbiamo speranza. E poi bisogna vedere cosa farà l’America: se accelera nella difesa dell’Ucraina contro la Russia ci saranno determinate conseguenze, se dirà a Zelensky di trovare un accordo con Putin cambieranno molte cose. Sia a Palazzo Chigi che nel campo largo ci si potrà muovere solo di sponda rispetto a questi eventi».

Potrebbe crearsi una nuova e originale alternativa all’interno degli schieramenti di destra e sinistra tra quelli che appoggeranno il piano Draghi e quelli che lo respingeranno?
«L’Europa non è scontato che segua il piano Draghi. È tutto molto prematuro. I soldi poi fanno comodo a tutti. La Lega sarà pure euroscettica ma non dice certo di no se l’Italia riceve delle risorse. Non sarà questa la divisione. La realtà è che al momento non si muove niente».

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