Il buco nero dei tribunali, le toghe-pigliatutto, l’imbuto delle procedure che, affastellate a quintali, diventano macigni per l’intero sistema; da dove partire, per snellire davvero il meccanismo inceppato della giustizia italiana? Si fa largo l’opinione che il mantra dell’obbligatorietà dell’azione penale, causa ultima dell’ingranaggio bloccato, possa e debba essere rimosso. E se serve una riforma profonda e definitiva della giustizia, al di là degli intendimenti e delle promesse, varrà la pena aprire un dibattito serio su questo punto. Parla con Il Riformista Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane.

Avvocato Francesco Petrelli, condivide il parere di chi indica la necessità di abolire l’obbligatorietà dell’azione penale?
«L’obbligatorietà è oggettivamente un feticcio perché le risorse sono limitate e anche se non lo fossero sarebbe irragionevole perseguire indistintamente ogni notizia di reato, tanto più in un contesto disfunzionale come il nostro caratterizzato da un panpenalismo dilagante. Il processo penale deve essere riservato a materie di particolare rilievo. Ma selezionare non significa necessariamente abrogare quel principio che può essere oggetto di una diversa e razionale modulazione».

Perché venne messa in Costituzione? E quei presupposti si possono considerare superati?
«I padri costituenti si trovarono di fronte ad una opzione classica: da una parte l’obbligatorietà dell’azione penale collegata alla indipendenza della magistratura dal potere esecutivo (Calamandrei), dall’altra un sistema impostato sulla discrezionalità e sulla conseguente dipendenza della magistratura inquirente dall’esecutivo (Leone). La scelta come ricorda Feltri fu certamente condizionata dal fatto che si usciva da un ventennio di regime fascista, per cui l’opzione è caduta sul primo sistema anche quale garanzia di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e come tale l’obbligatorietà come principio ha indubbiamente un valore ancora attuale».

Ha senso agire in relazione a vicende del tutto prive di significatività criminale, prive di allarme sociale?
«Occorre essere pragmatici: nessun ordinamento può permettersi un simile regime. Le risorse disponibili devono essere riservate ai processi più gravi, per cui si sono tentati dei possibili correttivi. Nel nostro sistema esiste da alcuni anni l’istituto della particolare tenuità del fatto che consente di modulare l’obbligatorietà dell’azione senza incidere sul principio. I fatti di minore rilevanza vengono archiviati, sia pure con il consueto controllo del giudice. Ma, anche a causa dei vistosi limiti dall’applicazione della legge, questo ovviamente non basta e il sistema continua ad essere in grave sofferenza e questo impone scelte più coraggiose».

La decisione su quali notizie di reato perseguire può serenamente essere demandata al pubblico ministero?
«La modulazione del principio di obbligatorietà è operata di fatto da ogni procura in base a criteri di precedenza solo in parte normativizzati (si pensi al cd. codice rosso) ma trattandosi di una scelta di contenuto visibilmente politico il suo esercizio non può che essere attribuito al Parlamento, non potendo di certo essere demandato né all’arbitrio del singolo magistrato, né alle scelte incontrollate delle singole procure. Chi si oppone alla riforma lo fa su basi puramente ideologiche, perché sa che oggettivamente l’obbligatorietà non esiste e che il suo esercizio è di fatto appannaggio della magistratura, in contrasto con ogni principio di legalità proprio di uno stato di diritto».

L’indipendenza della magistratura viene comunque garantita?
«La proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare depositata dall’UCPI nasceva proprio dall’esigenza di tenere insieme le garanzie di indipendenza e la funzionalità del sistema, modificando l’art. 112 della Costituzione senza sopprimerlo, prevedendo che l’azione penale resti obbligatoria ma solo “nei casi e nei modi previsti dalla legge”».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.