Campania, così la magistratura ha condizionato la politica

«Nella nostra storia le vicende giudiziarie hanno condizionato la politica, e non solo quella. Mi ritrovo con quanto detto dal giurista Sabino Cassese: il potere giudiziario è diventato un nuovo potere. Un potere alternativo, e ciò dovuto anche al fatto che nel frattempo si è indebolita la funzione della politica». Il professor Luigi Musella, docente di Storia contemporanea all’università Federico II di Napoli, accetta di compiere con il Riformista una riflessione su come inchieste e processi hanno finito per interferire sul corso della storia e della storia politica del nostro territorio e su come spesso processi e inchieste vengono strumentalizzati. «La politica ha perso il suo ruolo all’interno della società civile – aggiunge il professor Musella – Se paragoniamo gli anni Sessanta agli anni Novanta, è evidente che nel tempo, all’interno della cultura delle persone comuni, è venuta meno l’importanza della politica che, indebolendosi, ha subìto gli effetti della profonda trasformazione del sistema economico e del processo di globalizzazione che ha fortemente ridotto il ruolo degli Stati-nazione. Mentre un tempo l’economia aveva molto bisogno dell’aiuto e dell’intervento dello Stato, la globalizzazione ha depotenziato il ruolo dello Stato rispetto all’economia riducendo l’importanza della politica».

Restringendo il campo sullo scenario campano, da Tangentopoli alla maxi-inchiesta sul ciclo dei rifiuti in Campania si arriva alle più recenti indagini su politici e amministratori pubblici, e da ultima – in ordine di tempo – l’inchiesta che vede indagato il presidente della Regione Vincenzo De Luca e di cui è stata diffusa la notizia proprio in questi giorni di campagna elettorale per le regionali, nonostante l’inchiesta risalga a tre anni fa. «Più che le indagini o il processo in sé è l’uso che se ne fa nell’opinione pubblica», spiega Musella sottolineando come i condizionamenti arrivino anche dai riflessi esterni delle vicende giudiziarie. «Quanti processi – ricorda – sono iniziati con enormi scandali e si sono risolti sul piano giudiziario dopo moltissimi anni e con poco o nulla di fatto, ma dopo che il politico è stato comunque delegittimato di fronte all’opinione pubblica». Sullo sfondo di illegalità vere o presunte, si staglia poi un problema culturale. Di qui l’indebolimento della politica, la compressione dei diritti, strumentalizzazioni ed esercizi di potere.

«Il problema culturale c’è e non solo nella politica, c’è nell’intera società civile, anche in Campania – sottolinea il professor Musella – Ci sono debolezza, disinteresse per la cosa pubblica, scarsa attenzione ai problemi reali. Anche nei giovani, basti pensare agli anni Cinquanta e Sessanta. Allora la cultura era ritenuta la premessa per la politica, non si poteva concepire un’azione o un impegno senza conoscere i fatti sui quali si voleva intervenire. Ora invece non è più così. Ora imperversano populismo e moralismo – aggiunge il docente di Storia contemporanea – A partire dalla fine degli anni Settanta, di fronte a un indebolirsi delle idee, si è sviluppato un moralismo fine a se stesso. Ma la morale è una premessa, non può essere un contenuto della politica. La politica dovrebbe essere laica, non moralista, e mi riferisco alla politica di destra come di quella di sinistra».

Il professor Musella parla di «decadenza culturale a tutti i livelli», di una crisi sociale e culturale «che è sotto occhi di tutti». L’argine della legalità diventa sempre più labile, il potere giudiziario assume potere, i processi sono spettacolarizzati. Quali proposte? «Intanto servirebbe quello che di cui parlavano i vecchi politici – risponde Musella – Ridare dignità alla politica intesa in senso alto, con competenza, efficienza e nuove idee. Perché un altro limite della classe politica italiana è quello di ragionare come se il mondo si fosse fermato a quarant’anni fa, cosa che non è possibile. Bisogna abbandonare la filosofia personalistica e individualistica, spesso anche troppo clientelare. La politica – conclude Musella – deve tornare a essere capace di compiere un’analisi laica e strutturale del Paese e deve ritrovare dignità, solo così il potere giudiziario, come altri poteri, verrebbero ridimensionati».