Non c’è posto al mondo dove il respiro della Terra è più visibile, dove si può vedere, ascoltare e persino annusare. Benvenuti nei mitici Campi Flegrei dove il perenne ribollire dell’attività vulcanica del sottosuolo erutta in superfice fumarole e provoca piccoli terremoti che nel solo 2023 sono stati oltre cinquemila, fa variare costantemente il livello del mare nel Golfo di Pozzuoli e modifica quello del suolo. Ma è accaduto che alle 3.35 della notte di mercoledì scorso, tra le sessanta scosse in 24 ore, la più forte degli ultimi 40 anni di magnitudo 4.2 ha svegliato mezza Campania e paralizzato anche i treni dell’alta velocità, diffondendo panico e nuovi allarmi anche per la velocità di sollevamento del suolo in “lieve accelerazione”.
La verità scientifica indicherebbe sul Pianeta una sola area simile a quella dei Campi Flegrei, ed è la zona del “Supervulcano di Yellowstone” con una camera magmatica molto più vasta rispetto ai 19 crateri attivi flegrei concentrati in nemmeno 100 km quadrati nella caldera a forma quasi circolare con circa 4 km di raggio da Pozzuoli. Ma due differenze abissali rendono il panorama sotterraneo appena ad ovest di Napoli unico e molto più pericoloso. La prima, è la presenza di un vulcano attivo sovrastante come il Vesuvio e del vulcanesimo molto simile dell’isola di Ischia di fronte a Pozzuoli. La seconda differenza fa la differenza: se esplodessero le due caldere di Yellowstone sotto il Montana, l’Idaho e lo Wyoming farebbe danni solo sulle selvagge terre dell’Ovest con i loro paesaggi incontaminati e il grande parco naturale da 9000 Km quadrati ma senza colpire esseri umani. Al contrario, l’area flegrea è densamente abitata da circa 550.000 persone, iper-urbanizzata in barba alle leggi naturali e a quelle dello Stato e rappresenta plasticamente quella dose di fatalismo all’italiana e di abusivismo edilizio che ha permesso, nella totale ignoranza dei criteri minimi di prevenzione, di allestire condizioni di rischio sulle superfici di crateri attivi con formicai di edifici, centri commerciali e infrastrutture. Insomma, la caldera è sotto casa.

Oggi i Campi Flegrei è probabilmente l’area più sorvegliata del mondo dall’Osservatorio Vesuviano e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con reti di monitoraggio tra le più avanzate ed evolute, sistemi satellitari e sensori sofisticati che rilevano parametri fisico-chimici e ogni variazione di temperatura ed emissione di gas tra Solfatara, Pisciarelli e Agnano e nel Golfo di Pozzuoli. Del nostro “Regno del Fuoco” sappiamo che le due maggiori eruzioni risalgono a 39.000 e 15.000 anni fa. Da allora si sono alternati tre periodi di intensa attività eruttiva intervallati da secoli o millenni di riposo, con l’ultimo concluso 3780 anni fa. Ma il 29 settembre del 1538, una eruzione minore interruppe 300 anni di quiescenza e formò tra la fine di settembre e primi di ottobre con le eruzioni il cono del Monte Nuovo, l’apparato vulcanico più giovane d’Europa, poco distante dalla caldera del Lago di Averno il cui nome antico indica “senza uccelli” per via dei gas sprigionati, temuta un tempo come “L’ingresso all’Oltretomba”.
I Campi Flegrei sono uno dei paesaggi del puzzle dell’Italia vulcanica che spesso dimentichiamo. Sulla nostra penisola abbiamo diversi sistemi vulcanici per nostra fortuna estinti da oltre 10.000 anni come Amiata, Vulsini, Cimini, Vico, Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina, Vulture. Ma sono presenti vulcani in una lunga fase di riposo come Colli Albani, Ischia, Vesuvio, Salina, Lipari, Vulcano, Pantelleria, l’isola Ferdinandea sotto il mare siciliano, il Marsili che nelle profondità tra Golfo di Napoli e Eolie è il più esteso del continente, e rientra in questa categoria i Campi Flegrei. Sono, invece, sempre attivi due vulcani come lo Stromboli e l’Etna. Il vulcanesimo italiano è conosciuto da duemila anni, dagli scritti di Plinio il Vecchio che morì affascinato nell’eruzione di Pompei alla Geografia di Strabone che già dettagliavano i prodotti espulsi, le fasi eruttive e le morfologie, i rischi, riportando notizie di eruzioni anche sottomarine.
La terra “che brucia” dei Flegrei è stata poi mitizzata dai popoli pre-romani come abitata da terrificanti serpenti e draghi, poi da greci e romani con la presenza del dio del fuoco Vulcano o Efesto. Leggende e interpretazioni l’hanno trasformata nell’incrocio magico-sacrale del Forum Vulcani o Campi Ardenti tramandati come location di furiose battaglie tra Dei. Come quella combattuta da Atlante fratello di Prometeo e Menezio alleati dei Titani e di Crono contro gli Dei dell’Olimpo, con Zeus che abbatté con una folgore Menezio e lo rinchiuse sotto la caldera, condannando Atlante a portare per l’eternità il cielo sulle sue spalle. O come l’assalto al cielo degli Dei tentato dai 24 Giganti, altra fantastica battaglia da kolossal cinematografico, che Omero collocò sempre nei Campi Flegrei con Zeus ancora vincitore che li imprigionò tutti sotto i Flegrei. A due passi c’era poi l’antro della Sibilla Cumana, la madre di tutte le italiche profetesse, la sacerdotessa di Apollo per i Romani. Ma la zona era anche il regno delle acque termali dell’allora Campania Felix, molto sfruttate con le “Stufe di Nerone”, i monumentali impianti termali tra Pozzuoli, Agnano e Lucrino con accanto i crateri fumanti. Erano luoghi paradisiaci tra Miseno Portus Julius militare più importante dell’Imperium, Nuceria, Stabia, Oplontis attuale Torre Annunziata, Ercolano che prese il nome dell’eroe semidio Ercole, Pompei, Neapolis e Baia capitale dell’Otium dell’aristocrazia romana. Durò fino all’eruzione del Vesuvio, il nostro Ground Zero che ha impresso la data del 24 agosto del 79 per sempre nella storia dell’Umanità.

Ma è a Pozzuoli che si ammira ancora la magia del fenomeno del bradisismo, che tra Capo Miseno, Baia e Posillipo provoca l’altalena dell’abbassamento e dell’innalzamento del suolo di circa un centimetro all’anno. Si solleva e si abbassa sulla spinta dei gas magmatici e dei fluidi del sottosuolo che risalgono all’interno della camera magmatica a circa 4 chilometri di profondità. Il tempio romano di Serapide, riportato alla luce nell’agosto del 1952, oggi misura l’altalena tellurica del suolo. Era un tempo al centro del mercato di Pozzuoli dedicato a Serapide, e sulle colonne del Serapeo sono indicate le variazioni dell’acqua, anche notevoli nei diversi periodi di crisi. Se il mercato e il porto di Pozzuoli sono stati per lunghi periodi sotto il livello del mare, dal 1950 si sono verificati sollevamenti anche veloci come dal 1969 al 1972 per 1,70 metri o dal 1982 al 1984 di 1,87 metri quando con oltre diecimila piccole scosse e il rigonfiamento di due metri furono evacuate 40.000 persone. Dal 1984 iniziò la discesa di circa 93 centimetri fino al 2006, e da allora si registrano nuovi sollevamenti lenti ma continui. Oggi il livello del suolo è 13 centimetri più elevato del 1984, e si innalza di 15 millimetri al mese e sollevandosi accumula sollecitazioni che si scaricano sulle rocce e che rilasciano energia e, quando finiscono col fratturarsi, generando piccoli terremoti.
Cosa ci aspetta? Mauro Antonio Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, spiega solo che “La causa dell’attuale sollevamento è nella forte risalita di fluidi concentrati nell’area di Solfatara-Pisciarelli, è legato alla spinta verso l’alto generata da fluidi o fusi magmatici che si generano a profondità a 6-8 km sotto i Campi Flegrei. La quantità di gas rilasciata è notevole e sotto controllo, e solo nell’area di Solfatara-Pisciarelli in media fuoriescono oltre 3000 tonnellate di CO2 al giorno”. L’eruzione vulcanica per l’Ingv è una ipotesi relativamente bassa, come conferma anche Stefano Carlino, ricercatore dell’Ingv-Osservatorio vesuviano: “Finché ci sarà il sollevamento della caldera avremo questa sismicità che potrà manifestarsi sia con eventi più forti che con sciami. Quello che dovremo capire nell’immediato futuro è se la crosta si frattura. Al momento non è possibile fare previsioni”.
Ma se la scienza sorveglia, la Protezione Civile sta gestendo gli infiniti problemi delle possibili fasi del “durante” e del “dopo” crisi. I piani di evacuazione preventiva dovranno mettere in moto una macchina di emergenza senza precedenti sia nelle zone più esposte dei 7 Comuni della zona rossa – Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e parte di Giugliano, Marano e Napoli – sia in quelli della zona gialla. Ci saranno gemellaggi con il resto dell’Italia che dovrà accogliere famiglie di sfollati: Pozzuoli andrà in Lombardia, Bacoli in Umbria e Marche, Monte di Procida in Abruzzo e Molise. Ma ci sono le incognite della gestione, dall’allarme alle aree di attesa e di partenza e di prima accoglienza ai percorsi di allontanamento. Ma in caso di allarme è l’unica misura possibile di difesa. Il tempo complessivo stimato per l’allontanamento dalla zona rossa scattato l’allarme, è di 72 ore. Dovranno essere libere le strade e pronte le 6 aree di incontro per il “trasporto assistito”: Napoli stazione centrale e stazione marittima al porto; Afragola, stazione ferroviaria, Giugliano, istituto don Diana, Aversa stazione ferroviaria, Villa Literno stazione ferroviaria. Presuppone un perfetto coordinamento e tempistiche da rispettare e dovrà essere diffuso il più possibile. Possibilmente aumentando la nostra scarsa coscienza e conoscenza dei rischi naturali, quella che già nelle “Naturales Questiones” Lucio Anneo Seneca poneva come il problema numero uno dei suoi contemporanei: “Poiché la causa del nostro timore è l’ignoranza, non vale la pena di sapere, per non avere più paura? Quanto è meglio dedicarsi completamente a questo con tutti se stessi! E non si potrebbe trovare alcun argomento più degno…”.