L'America della censura
Cancel culture, anche l’ex Presidente Usa Barack Obama denuncia la pericolosa deriva: “Clima da caccia alle streghe”
Denunciare l’assurdità della cancel culture non è una posizione necessariamente di destra: tanti sono i casi di intellettuali di sinistra, ma anche politici, che si sono espressi contro la cultura woke.
È il caso anche di Barack Obama: un nome che fa rumore anche solo per quello che ha rappresentato il primo presidente degli Stati Uniti afroamericano. In passato aveva definito “pericolosa” la cultura woke e aveva avvisato il proprio partito (un po’ come aveva fatto Blair con i laburisti) del rischio di una perdita di consenso che avrebbero subito i dem se avessero difeso quelle posizioni ultraprogressiste.
Qualche giorno fa è tornato a parlarne, con toni che meritano però qualche riflessione più approfondita. “Alcuni dei libri che hanno plasmato la mia vita – e quelle di così tante altre persone – sono contestati da persone che disapprovano certe idee o prospettive”. Scrive. “Questi libri vietati sono spesso scritti da, o hanno come protagonisti, persone di colore, popolazioni indigene e membri della comunità Lgbt. Però ci sono stati anche casi spiacevoli in cui libri di autori conservatori o libri contenenti parole oscene che scaldano gli animi sono diventati bersaglio della censura”. Conclude dicendo che “l’impulso pare essere quello di imbavagliare piuttosto che coinvolgere, controbattere, imparare da o cercare di capire opinioni che non coincidono con le nostre”.
L’ex Presidente denuncia quindi il clima da caccia alle streghe che sta attraversando gli Stati Uniti d’America, dimostrandosi come sempre capace di usare toni moderati ma chiari. Si potrebbe però discutere sul fatto che abbia scelto di porre sullo stesso piano il fenomeno della censura ultraconservatrice e quello della cancel culture. Non perché non siano entrambi di pari gravità, ma perché non hanno la stessa portata e la stessa diffusione.
Di censura ultraconservatrice si parla per ora in pochi (folli e pericolosi) casi sporadici. La cancel culture è invece un movimento di sistema, che nasce nelle università e si espande e conta su intellettuali ma anche danarosi sostenitori e aziende. La cancel culture ha invaso l’arte, le tv, i giornali e il mondo dell’editoria. La censura conservatrice è frutto principalmente di una cultura ugonotta e bigotta che da sempre caratterizza parte dell’America conservatrice e profonda. Un altro punto da considerare è che in molti casi la censura repubblicana è una reazione- profondamente sbagliata e scomposta- alla cultura woke. Che come tutte le politiche estremiste genera solo altro estremismo.
La sua denuncia quindi è condivisibile ma non lo è del tutto la rappresentazione che ne emerge. O almeno, non lo è finora. Perché quando l’esasperazione dei toni va a toccare i minori, le reazioni diventano non controllabili e allora sì, che i due fenomeni potrebbero essere destinati ad equivalersi in portata.
In Canada per esempio, una scuola ha imposto agli insegnanti di chiamare con pronome neutro i piccoli alunni. I genitori, musulmani e cristiani, sono scesi in piazza strappando festoni arcobaleno. In quel gesto si cristallizza esattamente la prima conseguenza immediata della cancel culture: la disaffezione degli elettori al tema dei diritti LGBT.
Negli Stati Uniti da due donne stanche della propaganda woke somministrata ai propri figli a scuola, è nato un movimento di mamme, così potente da essere conteso fra i candidati repubblicani. E con idee non proprio liberali. In questo quadro, esistono poi anche semplici reazioni lecite che vengono catalogate dagli estremisti woke come censura: nel momento in cui si impone l’educazione sessuale ai bambini delle elementari, un genitore può essere libero di ribellarsi e chiedere che certi libri non siano diffusi fra i minori?
La domanda da porsi è: si tratta di censura o semplicemente di esercizio del ruolo di educatore che ha un genitore? Certo è che le due censure- conservatrice e progressista- hanno due fattori comuni evidenti: l’ignoranza e il furore ideologico. La volontà di voler piegare l’arte, la cultura, la storia alle proprie convinzioni è infatti sintomo di una società che si nutre di solo consumo. La risposta a ogni censura non può che essere la diffusione della cultura.
E Obama ha dimostrato, nel denunciare questo clima, un coraggio non scontato nell’America della polarizzazione sempre più estrema.
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