In Italia fumare cannabis non costituisce reato, coltivarla invece sì. Questo vale per tutti: per avvocati, architetti o studenti universitari, ma anche per i pazienti che fanno uso di cannabis terapeutica e, a volte, persino per le aziende di cannabis light, che da questa pianta ne hanno creato un’impresa legale e controllata. L’effetto – speriamo indesiderato – di questa legge è quello di favorire il mercato nero, costringendo milioni di cittadini a rivolgersi a chi, ad oggi, mantiene il monopolio del mercato, le mafie. Insomma, secondo lo Stato, si può pure fumare cannabis ma l’importante è che il prodotto venga comprato nelle piazze di spaccio. Un paradosso tutta all’italiana che mette in difficoltà chi utilizza cannabis per curarsi ma anche chi prova a farne un lavoro.

Ad oggi, è possibile coltivare soltanto canapa industriale, ma non senza correre alcun rischio. Infatti, la legge del 2016 regola solamente la coltivazione di cannabis light con basso contenuto di THC, “entro il limite dello 0,6%”, ed esclude le infiorescenze della pianta dall’elenco dei possibili usi della canapa nonostante i fiori e i loro estratti siano il ricavo principale per gli imprenditori che possono essere commercializzati solamente “ad uso tecnico” o per “collezionismo”. Questo vuoto legislativo viene colmato dalla libera interpretazione delle procure locali che spesso, con i loro atti, minacciano l’esistenza di centinaia di realtà del settore che finora hanno dato lavoro a circa 12mila persone con un’età media di 32 anni. Purtroppo, molte sentenze hanno considerato perseguibile la cessione delle infiorescenze di canapa, seppure contenessero livelli di THC entro il limite stabilito dalla legge e quindi prive di qualsivoglia “effetto drogante”, creando però dei pericolosi precedenti giudiziari per un settore che prova a riportare legalità nel nostro Paese.

L’impresa della cannabis light, infatti, contribuisce alla lotta al mercato criminale ed è diventato ancora più evidente con i ricavi ottenuti durante la pandemia. «Abbiamo avuto un grandissimo aumento nella fase di lockdown – racconta Matteo Moretti, CEO di JustMary, il primo delivery di cbd in Italia e main sponsor del Referendum Cannabis -, questo perché è venuta a mancare tutta quella parte illegale siccome le persone non potevano uscire di casa. Quindi il business è stato influenzato molto positivamente, ma il ritorno del mercato illegale ci ha portato via una grossa fetta di mercato». Delle leggi giuste – e magari non controverse – possono promuovere legalità per un intero settore e creare opportunità per un’intera economia. «L’unico vero ostacolo al business e al pagamento delle tasse e degli stipendi – continua Matteo Moretti – è il mercato illegale».

Oltre alle aziende, le leggi restrittive sulla coltivazione finiscono, troppo spesso, per colpire chi ne ha più bisogno, come i pazienti che sono costretti a cercare nel mercato illegale delle cure che dovrebbero essere fornite gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale. Infatti, l’insufficiente produzione di cannabis medica da parte dello Stato e l’ingombrante burocrazia delle leggi regionali non garantiscono un equo accesso alle cure, negando così uno dei diritti fondamentali della nostra Costituzione, il diritto alla salute. Chi invece si rifiuta di recarsi nelle piazze di spaccio, per motivi etici oppure perché fisicamente impossibilitato, opta per la coltivazione domestica. Una scelta che può comportare fino a sei anni di carcere, ma è un rischio che migliaia di pazienti sono pronti a correre pur di alleviare le proprie sofferenze.

Dopo anni di attesa, un rimedio a questo problema è stato recentemente avanzato dal Sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, il quale, durante una trasmissione televisiva, ha annunciato la preparazione di nuovi bandi che concederanno la possibilità ad aziende pubbliche e private di coltivare cannabis ad uso medico. La proposta, in realtà, attuerebbe semplicemente una legge in vigore dal 2017 ma che non è mai stata applicata correttamente. Sulla base delle attuali disposizioni, l’approvvigionamento della cannabis terapeutica sarebbe assicurato attraverso tre principali modalità: la produzione nazionale affidata allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (SCFM); l’importazione del prodotto (principalmente dall’Olanda e dal Canada); attraverso bandi per la produzione affidata a soggetti autorizzati dal Ministero della Salute (una soluzione mai utilizzata finora).

Per quanto riguarda lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, nonostante la produzione nazionale sia iniziata nel 2016, ad oggi lo SCFM non è mai stato in grado di garantire nemmeno le quantità concesse dal Ministero della Salute, pari a 500 chilogrammi di cannabis terapeutica annuali. Infatti, nel 2020 lo Stabilimento ha prodotto solamente 250 kg di cannabis medica a fronte di un fabbisogno nazionale pari a 1950 kg. A causa di questa carenza, ogni anno lo Stato adotta inevitabilmente anche la seconda opzione, ovvero l’importazione di cannabis da Paesi esteri, alternativa più dispendiosa. Ma, con un continuo aumento della domanda e per mancanza di serre e risorse produttive, l’apertura a nuovi bandi, come suggerito dal Sottosegretario della Salute, potrebbe rivelarsi l’opzione più convincente e sostenibile per le casse dello Stato.

La proposta del governo, però, potrebbe essere impiegata solamente in questa fase emergenziale per poi essere sostituita con una struttura solida e duratura. «L’apertura di bandi è un vantaggio indubbio – conclude Matteo Moretti -, ma va superato l’ostacolo e arrivare al modello californiano. Così da generare posti di lavoro e tasse per lo Stato». Aprendo il mercato a soggetti pubblici e privati, infatti, il commercio di cannabis medica potrebbe generare immediatamente un nuovo business, come già avvenuto in molti Paesi, e garantire una parità di accesso a tutti i pazienti a prezzi più competitivi, soprattutto rispetto ai costi offerti dal mercato criminale. Lo Stato si dimostrerebbe competente nell’affrontare l’insufficienza strutturale di cannabis medica, regolando e controllando l’intero settore, senza leggi controverse e senza più paradossi all’italiana.

Pierluigi Gagliardi

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