L'intervento
Cannabis, in migliaia per #IoColtivo: “Sia consentita per uso personale”
«Sono uno dei 6 milioni di consumatori di cannabis in Italia e uno dei 100mila italiani che la coltivano in casa ogni anno. Ho iniziato ad autoprodurre per due motivi: da consumatore voglio avere il diritto a una sostanza controllata e non una sostanza tossica come quella che si trova nelle piazze di spaccio. Inoltre, non voglio che dietro il mio consumo ci sia una rete di organizzazioni criminali. Chiedere la legalizzazione della cannabis vuol dire far fronte anche a questi due problemi sociali fondamentali». Matteo Mainardi, attivista e dirigente di Radicali italiani e collaboratore dell’associazione Luca Coscioni – per intenderci: uno cresciuto alla scuola della disobbedienza civile di Marco Cappato – rivendica in conferenza stampa a Montecitorio di aver violato la legge che punisce con una pena fino a 6 anni di carcere la coltivazione di cannabis nel nostro paese.
Mainardi è una delle oltre 2500 persone che dal 20 aprile hanno aderito alla campagna #IoColtivo (www.iocoltivo.eu): una grande iniziativa di disobbedienza civile collettiva lanciata da Meglio Legale, Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Dolcevita, Forum Droghe, Freeweed e una rete di altre venti associazioni. L’invito era quello ad autocoltivare cannabis, denunciandosi postando foto e video sui social con l’hashtag della campagna. Nonostante il lockdown l’iniziativa ha raccolto in poche settimane migliaia di adesioni. La richiesta è quella di decriminalizzazione della coltivazione personale, e ciò in linea con le indicazioni di una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, nel dicembre scorso, ha stabilito come «la coltivazione per uso personale non è più punibile penalmente, ma è da considerarsi, al pari della detenzione per uso personale, un illecito amministrativo.». A fare da scudo politico-istituzionale alla campagna ci sono quattro parlamentari che hanno disobbedito, coltivando essi stessi cannabis a casa e documentandolo con foto e video: Riccardo Magi, Caterina Licatini, Matteo Mantero e Aldo Penna.
Per tre di loro – Magi, Mantero, Licatini – è scattato sequestro e denuncia di piante di cannabis nel corso della stessa manifestazione del 25 giugno scorso. «Abbiamo deciso di coltivare per stare vicino a tutti gli altri cittadini che hanno aderito alla disobbedienza civile e contribuire a inserire questo tema nell’agenda istituzionale del paese». Così i quattro parlamentari denunciano la condizione di incertezza normativa e rivolgono il proprio invito ai colleghi ad aprire un dibattito serio e responsabile. Un primo possibile risultato è a portata di mano e riguarda l’esame – già incardinato in commissione Giustizia della proposta di legge 2307, a prima firma Magi, sulla decriminalizzazione della coltivazione di cannabis ad uso personale. Una proposta che mira esattamenta a dare attuazione alle indicazioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e a perfezionarle, superando anche le sanzioni amministrative. Si tratterebbe del “minimo sindacale” nella riforma del Testo unico degli stupefacenti, eppure di un cambiamento i cui effetti sarebbero immediatamente misurabili perché libererebbero risorse, forze dell’ordine e tribunali oggi impegnati nel contrasto di un fenomeno ampiamente diffuso. Lo scorso anno, infatti, sono state sequestrate 532.176 piante di cannabis: quasi il doppio dell’anno prima (+94%).
Nelle settimane scorse oltre 100 parlamentari hanno firmato un appello rivolto al presidente del Consiglio Conte per chiedere di discutere di legalizzazione della cannabis agli Stati generali per il rilancio economico del paese. Insomma, a livello parlamentare un dibattito per troppo tempo sopito è stato – seppur faticosamente – riavviato. I colpi di coda sono molti e potenti: basti pensare alla bocciatura, pochi giorni fa, degli emendamenti su cannabis light al Decreto rilancio. È fisiologico, in una sfida così complessa: ma abbiamo buone ragioni per credere che gli strumenti della ragionevolezza e del buonsenso prevarranno. In questi giorni a Roma abbiamo fatto affiggere 1400 manifesti e locandine con due semplici messaggi: con la legalizzazione si toglierebbero alle mafie fino a 7 miliardi all’anno e si creerebbero fino a 350mila nuovi posti di lavoro. Anche un’affissione a pagamento è stata un’impresa: infatti Atac, a cui Meglio Legale si era inizialmente rivolta, ha dato un diniego e trovare delle aziende private è stato complicato. Ma ce l’abbiamo fatta. E forse un giorno tutto ciò sarà semplicemente normale.
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