Cannabis light, è guerra: a rischio chiusura 3mila attività

Nessuno lo sa, ma sta per scoppiare la guerra. Si mobilitano risorse, uomini, mezzi. Si parla di un ingente numero di elicotteri pronti a entrare in azione, di una mappatura del territorio con i punti strategici da colpire. Una operazione gigantesca che dichiara guerra alla coltivazione della canapa e alla cannabis light. Perché in queste ore, al riparo dai riflettori, si sta discutendo di un provvedimento che da un giorno all’altro renderebbe illegali oltre 3.000 imprese dedicate alla coltivazione e al commercio della cannabis light.

Con il Decreto Interministeriale relativo al nuovo elenco di piante farmaceutiche, il cui testo circolato in queste ore è stato esaminato ieri della Conferenza Stato Regioni, sembra volersi condannare alla chiusura tutta la filiera.
La misura cui il legislatore sta lavorando inserirebbe i fiori di canapa all’interno della tabella delle sostanze stupefacenti (malgrado vi sia stata una raccomandazione della Commissione Europea a sottolineare che il Cbd non possa e non debba essere considerato tale). E quindi all’improvviso, nei prossimi giorni, una fitta rete di operatori, distributori, negozianti che hanno investito per lavorare sui prodotti derivati dalla cannabis light potrebbero ritrovarsi fuorilegge, con tutte le attività chiuse d’ufficio, i negozi sigillati. «Mandiamo a morire un comparto in cui oltre l’80% degli operatori ha meno di 33 anni, uno dei settori che ha maggiormente sviluppato occupazione giovanile, che vanta 150 milioni di euro di indotto l’anno e che, in tema della transizione ecologica, stava facendo avvicinare all’agricoltura moltissimi giovani», lamenta Luca Fiorentino, Amministratore della Cannabidiol Distribution di Torino.

Lui, come tutti gli imprenditori che hanno puntato sull’agricoltura biologica dei derivati della canapa, guarda agli ultimi sviluppi con incredulità e preoccupazione: «Se dovesse passare questo schema normativo di fatto diventeremmo degli spacciatori veri e propri. Questo porterà inoltre a molteplici – inutili – sequestri in tutta Italia, verremo trattati come spacciatori dalla macchina della giustizia, con tutte le conseguenze lavorative e personali, finendo per intasare i Tribunali senza una ragione logica». Il bilancio potrebbe essere molto pesante anche in termini di ricaduta occupazionale, con 15.000 operatori spazzati via dal mercato. «Anziché chiarire per via normativa la possibilità di produrre cannabis a basso contenuto di Thc dando certezza al settore, si giunge al risultato opposto mettendo di fatto fuori legge tremila imprese e a rischio quindicimila posti di lavoro», commenta il deputato Riccardo Magi, Presidente di +Europa e tra i promotori del Referendum Cannabis.

Referendum che invece, paradossalmente, esce dalle secche: «La notizia della convocazione della Camera di Consiglio in Corte Costituzionale per l’ammissibilità del Referendum Cannabis e quindi la conferma che abbiamo raccolto oltre mezzo milione di firme valide di cittadini è una grande notizia anche perché si tratta per la prima volta di firme esclusivamente digitali grazie alla riforma che abbiamo conquistato con l’emendamento a mia prima firma. Ora al lavoro per difendere il referendum e sostenere le ragioni della sua ammissibilità, continuando a informare e mobilitare i cittadini sul tema». Magi si appella ai Ministri competenti «e in particolare al ministro Patuanelli e al suo partito che si è espresso favorevolmente al Referendum ma oggi ci regala questa piccola controriforma perché correggano con urgenza questo provvedimento».

Le firme raccolte a sostegno della piena legalizzazione sono state oltre seicentomila. Nella stessa direzione va l’Europa, con il Lussemburgo e Malta che hanno legalizzato la cannabis e la nuova maggioranza tedesca che con il programma di legalizzazione dei cannabinoidi ha vinto le ultime elezioni. Se le cose da noi dovessero precipitare – come temono gli operatori interessati – farebbero prima ricorso urgente al Tar per poi aprire il caso davanti alla corte di Giustizia Eu.