Sulla questione della cannabis legale il dibattito in Italia è acceso come non mai. Il tema interessa molti e non solo nelle stanze di palazzo ma anche i cittadini comuni. Lo dimostrano le 500mila firme raccolte per andare al voto con un Referendum. E interessa ancor più una porzione di cittadini per cui la cannabis è fondamentale per la salute. I consumatori di cannabis a scopo terapeutico in Italia non sono pochi, ma, sebbene si tratti di un diritto, l’approvvigionamento della materia prima è sempre un calvario.

A raccontarlo in una lettera al sottosegretario alla Salute Andrea Costa sono le associazioni di settore che chiedono che il diritto al consumo di cannabis a scopo terapeutico sia davvero garantito a tutti e che si faccia qualcosa per ovviare alle infinite difficoltà che tali pazienti sono invece costretti ad affrontare. “Il Ministero della Salute, dopo gli infruttuosi incontri concessi ai Pazienti in giugno e luglio, continua a non dare risposte chiare, i Pazienti restano ancora abbandonati alle beghe dell’Ufficio Centrale Stupefacenti e continuano a chiedersi che intenzioni abbiano i vertici dello stesso”, scrivono le associazioni nella lettera.

“Le forniture di cannabis medica (come di consueto), durante il periodo estivo non hanno coperto il fabbisogno dei Pazienti e, quelle a disposizione delle farmacie italiane, sono minime e non prodotte in Italia, ma acquistate a caro prezzo dall’estero in considerazione della cronica carenza quantitativa e qualitativa di quelle italiane”. A questo si aggiunge un altro problema: la burocrazia. Secondo quanto raccontano le associazioni, una nuova circolare di settembre, aggiunge nuovi problemi: il ministero “mette ancora una volta i puntini sulle i ai malati” rendendo ancora più incerta la continuità terapeutica impedendo di fatto le semplificazioni dell’utilizzo della Pec e di un sistema digitalizzato. Invio di corrieri e carte dunque rende tutto più difficile anche quando le nuove tecnologie hanno proposto e attivato facili soluzioni.

La lettera delle associazioni al sottosegretario Costa

La recente motivazione di assoluzione di Walter De Benedetto, spiega chiaramente come la giustizia deve tutelare i malati, di fronte all’assenza di un farmaco salva vita, dando una interpretazione della legge 309/90 subordinata ai diritti costituzionali di garanzia della salute. “Il ministero della salute, che dovrebbe tutelare i malati e farsi carico dei diritti fondamentali di tutela della sanità dell’individuo, nella sua sfera fisica e psichica (come per altro scritto all’ingresso del ministero), invece, li discrimina e non si sforza di comprendere quello che ora, anche la magistratura ha palesato – scrivono le associazioni nella lettera al sottosegretario – Prima viene la dignità della vita umana e l’empatia che avvicina gli uomini; la sofferenza è un limite che può essere superato dalla vicinanza umana, non dalla fredda burocrazia, congelata in un pregiudizio intriso di ignoranza, fuori dal tempo, che condiziona, da oltre dieci anni il rapporto con i malati nel campo della cannabis terapeutica”.

Le associazioni spiegano che anche la politica si sta esprimendo. La liceità della coltivazione domestica, di 4 piante di cannabis, risolverebbe il problema del 2 – 3% dei Pazienti (quelli affetti da ansia, insonnia, depressione, e alcuni giovani adulti con patologie neurodegenerative), per i quali il consumo di cannabis, in forma di infiorescenze, può rappresentare un buon ausilio per alleviare le proprie difficoltà quotidiane; in questi casi è il paziente stesso che riesce a gestire i sintomi, con una terapia basata sui sintomi avvertiti, sempre seguito da un medico competente e formato per il monitoraggio della terapia.

Le difficoltà per i pazienti a cui è prescritta la cannabis terapeutica

Ben diverso è però il problema di centinaia di migliaia di Pazienti che non hanno comunque modo o competenze, per poter coltivare presso il proprio domicilio e che necessitano di terapie composte da più tipi di cannabis, in varie formule galeniche, per esempio in forma di estratti (si pensi ai bambini epilettici o agli anziani con patologie neurodegenerative) e per cui la cannabis dovrebbe essere già erogata gratuitamente secondo varie leggi regionali.

Se il 2020 ha, giustamente, visto un accantonamento della produzione di cannabis dello stabilimento di Firenze, causa pandemia, per fornire supporto ad una crisi sanitaria, ha di fatto sancito la marginalità dei malati in cura con cannabis medica, la morte di un mercato in crescita esponenziale a livello internazionale e l’inadeguatezza dell’approccio tecnico del ministero, sulle politiche riguardanti la cannabis medica. Un mercato che il ministero stima in 2 tonnellate l’anno, mentre, una stima del valore del mercato della cannabis, basato sugli impieghi potenziali, si aggira attorno alle 700 tonnellate al mese per 23 milioni di potenziali fruitori ed un mercato che, da solo, vale più della spesa italiana in farmaci.

L’appello della associazioni: “La legge va migliorata”

Le associazioni incontrate dal ministero chiedono che siano formalmente riconosciute tramite decreto le associazioni dei malati come enti autorizzati alla coltivazione collettiva; siano formalmente riconosciute tramite decreto le figure dei care givers per la cannabis; siano riconosciuti formalmente tramite decreto i centri di medicina specializzati alla gestione integrata del paziente, soprattutto attraverso l’uso degli strumenti digitali e la dematerializzazione delle ricette, anche tramite PEC; Siano avviati percorsi formativi inserendo la cannabis medica già nei piani di studi universitari; Siano avviati e finanziati progetti di Ricerca clinica e preclinica in ambito di terapie con fitocannabinoidi.

Questi temi devono essere inserite, anche nella nuova legge in discussione, ora, e il ministero della salute deve farsi portavoce di queste istanze o i malati torneranno a chiedere un decreto per ogni associazione di malati.

Alla politica, i malati, lanciano un appello; la norma che sarà presentata alle camere, sarà una misura “moderata” e di semplice buon senso, ancorché insufficiente e che necessita di miglioramenti; apportiamo piccole ma significative modifiche. “Il ministero della salute ha una grande opportunità, oggi: prendersi cura dei propri cittadini, può diventare spunto economico per nuove attività nel terzo settore e nel sociale, oltre che nel settore medico e di ricerca scientifica”, scrivono le associazioni nella nota. Chiedendo un maggiore coinvolgimento nelle decisioni in merito.

Di fatto chi più di loro può conoscere e rappresentare un problema vissuto da chi dalla cannabis trova giovamento terapeutico? Tra le associazioni che hanno sottoscritto l’appello ci sono Comitato Pazienti Cannabis Medica, Canapa Caffè, Deep Green, La piantiamo Associazione Cannabis Sociale Libera Trento, Cannabis social club bolzano, Associazione Luca Coscioni, Meglio legale, Associazione The Hemp Club Milano, Aisf, Cfu, Mi. Ma. Re e Alma star.

Ornella Muti in campo per la legalizzazione della cannabis

Tra le firme c’è anche l’Associazione Ornella Muti hemp Club, l’assocaizione fondata dalla nota attrice che insieme alla figlia Naike ha sempre dichiarato di fare uno di cannabis a scopo terapeutico (la usa contro la pressione bassa e l’insonnia). E della legalizzazione ha fatto una battaglia personale dopo aver visto le sofferenze di sua madre, malata oncologica con prescrizione per la cannabis terapeutica. Con la sua associazione cerca di aiutare chi ha difficoltà di accesso offrendo informazioni sull’uso e l’accesso alla cannabis e i suoi molteplici prodotti.

Come raccontato a vanity Fair in un’intervista per Ornella Muti quel periodo fu un calvario a causa della mancanza di accesso e dei tabù che ancora sussistono in Italia sul tema. “Non avevamo informazioni – ha raccontato – se fosse andata diversamente mia mamma avrebbe potuto avere avuto una vecchia più serena. Ma come lei sono tante le persone malate di cancro che si trovano in questa situazione”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.