Sul canone Rai il governo Draghi decide di smantellare uno dei provvedimenti presi dall’esecutivo guidato dall’allora premier Matteo Renzi: la tassa per mantenere la tv pubblica infatti non sarà più pagata direttamente dalla bolletta elettrica, con un esborso per famiglia di 9 euro al mese per 10 mensilità e un costo complessivo dunque di 90 euro.

Una scelta di fatto obbligata per dare seguito alle richieste arrivate dall’Unione Europea di eliminare gli “oneri impropri” dai costi dell’energia, come appunto il canone.

La soluzione arriverà nel Pnrr legato al Recovery Fund, ovvero ai fondi europei che arriveranno al Paese per finanziare le riforme necessarie per far ripartire l’economia dopo la crisi legata alla pandemia Covid. Il provvedimento che cancellerà il canone in bolletta sarà inserito nel disegno di legge legato alla concorrenza, scrive oggi Il Messaggero: testo che dovrebbe andare in Consiglio dei ministri giovedì.

Una mossa che però rischia di far tornare l’Italia ai periodi in cui l’evasione del canone Rai era praticamente endemica. Proprio per questo nel 2015 il governo Renzi prese la decisione di legare la tassa per la tv pubblica alla bolletta: una scelta che aveva permesso anche di far diminuire il costo per le famiglie del canone, passato dai 113 euro di allora ai 90 attuali.

Quell’addebito in bolletta è stato però fortemente criticato dalle istituzioni europee, fino alla scelta del presidente del Consiglio Mario Draghi di rispondere cancellando la riforma Renzi. L’impegno formalizzato con il disegno di legge avrà effetti comunque a partire dalla fine del prossimo anno.

Una discussione che “dimostra che non esiste futuro per la Rai se non si risolve la questione della certezza delle risorse”, è l’accusa che arriva dall’Usigrai, l’Unione sindacale dei giornalisti Rai. L’interesse del sindacato è che “il servizio pubblico abbia risorse certe, di lunga durata, autonome e indipendenti. In modo da poter fare un serio piano industriale, senza dipendere anno per anno dal governo di turno”.

Si tratta, rivendica l’Usigrai, non di una “pretesa” ma di un “preciso obbligo in capo allo Stato, sancito dal Contratto di Servizio. Oltre che un pilastro di tutte le indicazioni europee sulla libertà dei Servizi pubblici radiotelevisivi e multimediali”. “Ricordiamo infine – aggiunge l’Usigrai in una nota- che pendono ancora davanti al Consiglio di Stato ben 3 ricorsi sul taglio di 150 milioni imposto nel 2014. Quei pronunciamenti sono oggi ancor più indispensabili per fare chiarezza su come sono state create le condizioni per ridimensionare il Servizio Pubblico. Ci auguriamo che il tema della certezza delle risorse venga assunto come priorità dal nuovo vertice della Rai. Perché altrimenti i disastri di questi anni su questo tema rischiamo che vengano pagati dalle lavoratrici e dai lavoratori“.

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