Giorgia Meloni parla all’Onu perché suocera intenda. Dove la suocera, naturalmente, è l’Europa. «Non possiamo essere il campo profughi d’Europa», ha tuonato la premier da New York. Prende parte all’assemblea generale delle Nazioni Unite e a chi la incontra ripete il suo mantra: «Per accogliere e redistribuire i migranti serve l’aiuto di tutti».

Applausi di facciata. Strette di mano, complimenti: la prima volta della prima donna di destra che rappresenta l’Italia nel mondo è una vittoria di immagine. Che la premier sottolinea facendo la V “for Victory” all’inglese, scendendo lo scalone del Palazzo di Vetro. Nella realtà, un’aula sorda e grigia. E si consuma anche un giallo, quando la premier era attesa al Consiglio di Sicurezza. Non va, manda il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Perché impegnata con degli incontri bilaterali», dicono alla stampa.

Però andando a vedere nello specifico, Meloni incontra di lì a poco i presidenti di Guinea Bissau, Senegal e Kenya, rispettivamente Umaro Sissoco Embalo’, Macky Sall e William Samoei Ruto. Una curiosa inversione di scaletta; perfino inspiegabile, se non fosse dettata da ragioni diverse. L’Africa è il vero tallone d’Achille di Giorgia Meloni. Un punto debole che è anche un’ossessione.

E di migranti ha parlato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricevendo in Sicilia il suo omologo tedesco, Steinmeier. I 27 proseguono invece lo scontro sulla redistribuzione, dopo la posizione intransigente assunta dalla Francia. Tanto che la Commissione europea è costretta ad ammettere: «Missione Sophia fallita a causa dei dissidi tra i Paesi».

In patria, intanto, è caos. Sui migranti le ultime decisioni del Cdm sortiscono l’inusuale effetto di scontentare tutti: maggioranza e opposizione, Regioni di destra e di sinistra. L’assegnazione dei CPR non è andata giù a nessuno. Dall’Emilia-Romagna, Bonaccini attacca, ma vedrà il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per trovare una quadra. Alza la voce persino Luca Zaia.
Il governatore pugliese, Michele Emiliano, non fa sconti: «Dal governo un vero disastro, ma collaboriamo». Il presidente della Toscana, Eugenio Giani, la mette giù diretta: «Qualsiasi persona si rende conto che è una posizione illogica, perché il problema non è di reintegrarli nei loro Paesi, non ci andranno mai e per mandarli ci vogliono almeno 18 mesi: tanto prevedono le convenzioni internazionali che lo impediscono, lo burocratizzano; semplicemente questo voler enfatizzare i Cpr nelle regioni in cui non ci sono è una risposta demagogica a un problema a cui non si danno risposte».

Per costruire i Cpr che dovrebbero accogliere dignitosamente i richiedenti si parla di procedure d’urgenza. Quelle indicate alla voce «Opere di sicurezza nazionale». Due saranno i casi per essere trattenuti 18 mesi: nessuna collaborazione nel fornire le identità dei trafficanti e ritardo nel fornire i documenti personali. E peccato che intanto una brutta storia rivela un giro di sfruttamento del lavoro nero, con immigrati pagati 5 euro l’ora per lavorare in aziende del Cagliaritano. Una operazione della Guardia di Finanza porta a cinque fermi nel racket dei pakistani. I fenomeni che non si governano, degradano.

All’indomani del Consiglio dei ministri che ha detto sì all’allungamento dei tempi di permanenza nei centri dei migranti da rimpatriare (CPR), è stato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a difendere l’ennesimo tentativo di giro di vite. «La norma sui Cpr è contenuta in una cornice europea, che prevede la possibilità del trattenimento fino a 18 mesi – ha detto -. Rafforzare la capacità dello Stato di espulsione è una cosa che ci chiede l’Europa. È previsto dalle normative ed è una delle raccomandazioni che l’Europa ha fatto all’Italia…». Europa o meno, il fatto è che – ricorrendo alla decretazione d’urgenza e allo stato di emergenza – da mesi l’esecutivo prova a fronteggiare l’ondata di sbarchi, che ha superato quota 130mila arrivi da gennaio, con un totale di 141mila migranti attualmente in accoglienza.

Ma se qualcuno tira in ballo il Ministero della Difesa che dovrebbe identificare le strutture da destinare all’accoglienza, ecco che il titolare del dicastero si chiama fuori: «La sorveglianza e la collocazione dei Cpr sul territorio nazionale non competono alla Difesa», dice Guido Crosetto. Il controllo dei centri «non compete alla Difesa» ma alle forze dell’ordine, conferma Crosetto rispondendo alla specifica domande dei giornalisti.
La politica poi, riserva perle: intervistato da Bruno Vespa, Giuseppe Conte ha stigmatizzato la costruzione dei Cpr ma attaccato anche l’accoglienza indiscriminata della sinistra.

I Cpr costerebbero, a suo dire, 50 euro al giorno per ciascun migrante ospitato. Cifre che balenano dai suoi appunti senza alcuna fonte. Ospite di Porta a Porta, il presidente pentastellato la mette così: «Un’alleanza strutturale con il Pd? Non è possibile perché ci sono punti di diverbio, di dissenso, come sui migranti. Noi siamo per la ‘terza via’ sull’immigrazione. Il Pd è per l’accoglienza indiscriminata. Non è possibile. Come non è possibile il blocco navale».

Un attacco frontale a cui ribatte a stretto giro, in diretta tv da Bianca Berlinguer, Elly Schlein gli ha risposto: «Conte non ha letto le proposte del Pd sull’immigrazione. Aspettiamo le sue». Chiosando con indulgenza: ‘’Siamo in campagna elettorale». La replica della segreteria Pd è gelida ma ieri i torni tra i parlamentari dem e quelli del Movimento erano piuttosto accesi in Transatlantico. «Accoglienza indiscriminata? È la stessa propaganda della destra, di Meloni e Salvini, le stesse parole». Del resto, “a sventolare i decreti sicurezza con Salvini, c’era Conte e non c’eravamo noi». Certi amori, si sa, fanno dei giri immensi e poi ritornano.

Aldo Torchiaro

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