Concorso al Cardarelli deserto, nessun medico disposto a lavorare. Dimissioni in massa, pronto soccorso affollati, una sanità in affanno e oramai allo stremo. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha sintetizzato con: il personale sanitario vive troppo stress e ha uno stipendio troppo basso, sottolineando anche la necessità di maggiori tutele per i medici di frontiera. «C’è un problema generale – ha detto a margine di un incontro con gli studenti di Napoli – di riduzione del personale medico. Noi siamo fermi dal 2004 per le decisioni del ministero della Salute secondo cui la spesa non può superare quella del 2004, una cosa demenziale – ha aggiunto – Ora dobbiamo aumentare le scuole degli specializzandi e il personale medico e poi affrontare il problema specifico dei medici dei pronto soccorso».

Gli stessi che in pandemia abbiamo elogiato e chiamato eroi, ma che presto siamo tornati a maltrattare. Sulla questione è intervenuto anche il ministro della Salute Roberto Speranza, e ha fatto sapere che il Governo è intenzionato a investire di più sul personale sanitario e che la situazione critica in alcuni pronto soccorso italiani riguarda proprio questa grande questione, e che il Governo ha instituito nell’ultimo anno 17.400 borse di specializzazione, il triplo di tre anni fa e il doppio di due anni fa. Ma è chiaro che questi investimenti avranno una ricaduta nei prossimi anni. Quali sono, invece, gli interventi da poter fare già adesso? «Bisogna riaprire subito i pronto soccorso cittadini che all’epoca erano fondamentali come il Loreto Mare e il San Giovanni Bosco – spiega il dottor Manuel Ruggiero, medico del 118 e presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Ippocrate – Si tratta di due ospedali che sgravavano molto il Cardarelli».

Non solo, anche la Regione potrebbe intervenire per decongestionare gli ospedali campani. Come? «Occorre riattivare i punti di primo intervento che sono previsti nel piano regionale – spiega Ruggiero – All’interno della rete del 118 ci sono questi punti che erano sparsi in tutta la città. Uno, per esempio, si trovava a Pianura, un altro al Porto di Napoli. Sono dei punti dove in emergenza si possono erogare le prime prestazioni sanitarie». Riattivare i punti di primo intervento sarebbe una soluzione efficace visto che il problema è che l’utenza in fase post pandemica conosce solo due istituzioni alle quali rivolgersi: pronto soccorso e 118. La medicina territoriale non viene interpellata, i pazienti non si rivolgono più al medico di famiglia o alla guardia medica ma chiamano direttamente il 118 e quindi c’è una congestione del sistema di emergenza che naturalmente non può accogliere tutte le richieste di soccorso, ma soltanto i codici gialli e rossi.

«Purtroppo il sistema di emergenza in questo momento si trova a dover affrontare anche codici bianchi e codici verdi che dovrebbero essere gestiti dalla medicina generale – conclude Ruggiero – Per questo c’è la fuga dei medici dai pronto soccorso, perché si vedono arrivare masse di persone che impropriamente si rivolgono al presidio d’emergenza. I medici hanno anche paura di assegnare un codice bianco a un paziente. Poi c’è un problema culturale – aggiunge – perché nella concezione del napoletano, quando sta male, la prima cosa che dice è: portatemi al Cardarelli. Perché nell’immaginario collettivo è solo quello il pronto soccorso, quando invece ci sono tantissimi ospedali eccellenti per l’emergenza».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.