Conflitti di competenza
Caos Stato-Regioni, legge incompleta servono correttivi
L’emergenza Coronavirus sta riaccendendo i riflettori sulle principali lacune del Titolo V della Costituzione. Il quale, nonostante sia stato praticamente riscritto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, continua a rimanere “orfano” di due fondamentali tasselli, di cui si avverte particolarmente la mancanza proprio in circostanze come questa. Il primo anello mancante è la cosiddetta clausola di supremazia. Beninteso, già oggi lo Stato, a Titolo V vigente, ha tutti gli strumenti per tutelare al meglio la salute dei cittadini. Si chiamano principi fondamentali, materie non-materie, livelli essenziali delle prestazioni, potere sostitutivo, chiamata in sussidiarietà. Non un’unica clausola, dunque, ma tante “piccole” clausole che, complessivamente considerate, attribuiscono allo Stato il ruolo di garante dell’unità del sistema.
Nondimeno, una disposizione ad hoc, che gli conferisse espressamente il potere di intervenire nelle materie non riservate alla sua legislazione esclusiva, avrebbe tutt’altra portata e sarebbe senz’altro opportuna. Ma andrebbe adeguatamente calibrata. Nel senso che non dovrebbe trattarsi di una clausola che affermi la prevalenza tout court del diritto statale sul diritto locale, bensì di una clausola di esercizio – sul modello di quella contenuta nella riforma costituzionale del 2016 – che precisi, cioè, le condizioni alle quali la prevalenza va subordinata.
Tali condizioni, a loro volta, non dovrebbero essere troppo generiche e dovrebbero essere giustiziabili davanti alla Corte costituzionale, di modo che essa possa valutare se le leggi che lo Stato ha adottato sulla base della clausola rispettino i presupposti per il suo esercizio. Altrimenti il rischio è quello di consegnare al legislatore statale una “clausola-aspiratutto”, che finisce per attribuirgli un potere di intervento incondizionato, svuotando, di fatto, l’autonomia delle Regioni.
Al netto dei suoi innegabili limiti, infatti, il Titolo V aveva un obiettivo condivisibile ed ancora attuale, perché mirava a realizzare autonomie responsabili, sviluppando in pieno il principio autonomistico dell’art. 5 della Costituzione. E i principi costituzionali non andrebbero messi in quarantena, nemmeno nelle emergenze. L’altro anello mancante è la seconda Camera territoriale. L’introduzione della clausola, infatti, dovrebbe essere necessariamente affiancata da un ramo del Parlamento che, immettendo nel procedimento legislativo il punto di vista degli enti substatali, concorra alla sua attivazione. Non è un caso che la riforma del 2016 non solo trasformava il Senato in una Camera rappresentativa delle autonomie territoriali, ma gli attribuiva anche il potere di emendare le leggi applicative della clausola, prevedendo che tali emendamenti potessero essere bocciati dalla Camera solo a maggioranza assoluta. Dunque clausola di supremazia e Camera delle autonomie simul stabunt simul cadent.
La presenza dell’una in mancanza dell’altra, infatti, non è auspicabile, perché imprimerebbe al sistema una torsione centralistica che riporterebbe le lancette dell’orologio all’impianto originario della Costituzione del ‘48. D’altra parte, che questa emergenza ponga soprattutto il problema delle sedi di leale collaborazione tra centro e periferia – più che dei poteri di intervento del centro – lo confermano le fughe in avanti di alcune Regioni a cui abbiamo assistito nelle fasi iniziali della diffusione dell’epidemia.
Finché il Governo non ha convocato un tavolo per coordinare le iniziative comuni da mettere in campo, ognuna di esse si è mossa in ordine sparso, facendo prevalere i propri interessi particolaristici rispetto alla necessità di dare risposte uniformi su scala nazionale. Da questo punto di vista, allora, una seconda Camera territoriale non solo darebbe alla cooperazione legislativa tra Stato e Regioni una sede adeguata, ma sarebbe anche un modo di responsabilizzare le Regioni, chiamandole ad acquisire una visione nazionale dei problemi.
È opinione diffusa che dopo questa crisi molte cose dovranno cambiare, a cominciare dall’esigenza di rimettere al centro dell’azione di ciascuno di noi – a tutti i livelli, a tutte le responsabilità – il primato del bene comune sull’interesse di parte. Se da ciò derivasse anche un nuovo “spirito costituente” che consentisse di dare una soluzione finalmente condivisa ad alcuni nodi critici del nostro sistema istituzionale, questo sarebbe senz’altro un motivo in più per guardare al futuro con rinnovata fiducia.
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