Come la Siria 'aggirava' le sanzioni
Captagon, la “cocaina dei poveri” gestita dal clan Assad: come il traffico di droga tiene in vita il Paese-zombie
I ribelli hanno sequestrato il più grande magazzino di produzione e stoccaggio del narcotico nel paese gestito, a quanto sembra, proprio da Maher Assad
In questi anni la Siria è diventata un buco nero. Un Paese devastato dalla guerra, da un’economia stagnante, da un sistema infrastrutturale che non si è mai ripreso. Una palude su più livelli (politico, sociale ed economico) a cui si è aggiunto anche il dramma delle sanzioni. Un cappio che serviva a colpire il potere di Bashar al-Assad e dei suoi funzionari, cercando di evitare che a Damasco e dintorni fosse possibile effettuare transazioni finanziarie, acquisire strumenti per agevolare la repressione in tutte le sue forme. Un modo per indebolire il leader siriano, per strozzare le sue fonti di guadagno e di valuta, per degradare il suo apparato di sicurezza e il partito Baath. Ma che alla fine, come ogni apparato sanzionatorio, ha finito per colpire anche le persone comuni.
In un Paese del genere, non si vive, si sopravvive. L’Orient Le Jour, quotidiano libanese, parlando della Siria ha utilizzato il concetto di Paese-zombie, uno Stato che non è vivo ma nemmeno definitivamente morto. Un sistema senza speranza e dove non c’è futuro. Ed è in una realtà del genere che i traffici illeciti trovano il terreno più fertile di tutti. La criminalità diventa un viatico per chiunque non voglia solo sopravvivere, ma anche aumentare il proprio status. Ma quello che ha caratterizzato in questi anni la Siria è stato anche qualcos’altro. E cioè che quei traffici hanno costituito la spina dorsale del regime per finanziare le sue attività eludendo le sanzioni o cercando introiti. Uno su tutti è stato il captagon, la “cocaina dei poveri”, oppure, come la chiamano altri, “la droga dell’Isis”. In questi anni, il regime siriano è stato uno dei protagonisti della produzione e del contrabbando di questa droga sintetica. Una rete criminale che si estendeva fino agli Stati del Golfo, che è arrivata anche in Europa attraverso Egitto e Turchia, che entrava anche nei circuiti “ricreativi” delle milizie che hanno imperversato e continuano a imperversare in Medio Oriente. Una droga usata anche dai miliziani del sedicente Stato islamico (di lì il nome di “droga dell’Isis”) ma anche dai combattenti di Hamas, tanto che alcune tracce di captagon sono state rivenute su chi ha preso parte all’orrore del 7 ottobre 2023.
In questi anni di sanzioni, il regime ha reso il traffico di captagon una fonte di introiti da miliardi di dollari (per la Banca Mondiale, si parla di un mercato fino a cinque miliardi di dollari all’anno). Un vero e proprio asset strategico, al punto che il clan Assad, con Bashar alla guida di Damasco, aveva messo Maher, il fratello del presidente, a gestire questo complesso traffico illecito. Lui, insieme alla Quarta divisione dell’esercito siriano, controllava tutta la filiera. Un sistema con cui si finanziava non solo Damasco, ma tutta l’intera rete di milizie a essa legata, tanto che secondo alcune inchieste, tra i beneficiari di questi proventi c’era anche Hezbollah in Libano. E che in questi anni era diventato anche un problema per i vicini e rivali dell’Asse della Resistenza islamica guidato da Teheran. Su tutti, a colpire i trafficanti era stata in particolare la Giordania, che negli anni ha impiegato direttamente le forze armate per frenare i contrabbandieri che varcavano il confine meridionale della Siria per entrare nel territorio sotto Amman.
L’aviazione giordana ha addirittura bombardato negli ultimi tempi il territorio siriano per colpire questo traffico. E ieri, sono intervenuti anche i ribelli, con il sequestro del più grande magazzino di captagon del Paese. Un deposito utilizzato non solo per lo stoccaggio, ma anche per la produzione di droga, e che secondo quanto hanno riferito i ribelli, era gestito proprio da Maher Assad. I miliziani, che rappresentano ormai le forze di sicurezza del nuovo regime siriano, non hanno voluto rivelare il luogo della scoperta. Ma il segnale è chiaro: la droga è tra i dossier più importanti (e scottanti) della transizione tra il vecchio e il nuovo sistema di potere. E colpire la rete del captagon serve anche a dare garanzie ai Paesi vicini, in primis a Israele. L’intelligence dello Stato ebraico ha da tempio intrapreso una guerra senza esclusione a questo traffico, visto che finanzia e viene utilizzata anche dalle milizie sue nemiche. In questi giorni, gli analisti israeliani si sono interrogati sul destino dell’immenso impero della droga che aveva il suo cuore pulsante a Damasco. E la paura di molti è quel fiume di pasticche finisca nelle mani di altre organizzazioni criminali e fazioni jihadiste.
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