Cara Concita ti chiedo scusa, probabilmente ho reagito male alle tue parole perché sono papà di una ragazza autistica. Probabilmente prima di prendere coscienza della disabilità di mia figlia, avrei letto compiaciuto le tue parole e le avrei considerate anche efficaci. Probabilmente è stato così per tanti di quelli che ti hanno letta quella mattina. Hanno giustamente focalizzato la loro attenzione sul gesto dei ragazzi che inopinatamente e rovinosamente hanno danneggiato la statua ottocentesca di Enrico Butti, per farsi un selfie e hanno pensato di riversargli addosso i peggiori insulti che potessero passargli per la testa e i tuoi addirittura possono essere apparsi insufficienti.

Il danneggiamento della statua, la totale incultura, la mancanza di rispetto di un’opera d’arte, meritava tutte le contumelie possibili. Io torno a chiederti scusa, perché sarà probabilmente una nostra esagerazione, penso di rappresentare in questo il pensiero delle mamme e dei papà delle persone con disabilità, una sensibilità spiccata su determinati argomenti, ma non riusciamo proprio a passarci sopra. Non riusciamo a leggere parole come quelle da te scritte e passarci sopra, perché i decerebrati assoluti abitano sotto il nostro stesso tetto e dobbiamo curarli e crescerli spesso in assoluta solitudine, perché facciamo sacrifici enormi per portarli a scuola ogni mattina e non ci siamo mai rassegnati alle scuole differenziali.

Preghiamo tocchi loro un insegnante di sostegno formato, una classe solidale, con compagni che abbiano voglia di crescere con i nostri figli, che li invitino ai compleanni, che non li considerino un peso in gita scolastica. Perché ci siamo umiliati e abbiamo chiesto tante volte ai dirigenti scolastici delle scuole dei nostri figli di bocciarli, fargli ripetere l’anno, perché comunque la scuola è accogliente rispetto a tutto quello che li aspetta dopo. E poi perché abbiamo sillabato con loro, abbiamo gioito quando hanno imparato ad allacciarsi le scarpe, a mangiare da soli, perché non era così scontato che accadesse. Perché non abbiamo mai smesso di pulirgli la bocca, anche da adulti, anche quando hanno messo da parte il bavaglino, perché sarà sempre così, perché saranno in molti casi sempre i nostri “bambini”, non soltanto i nostri figli, per tutta la vita.

E nonostante è così, nonostante le difficoltà, potrà apparire strano, ma non scambieremmo mai i nostri figli per nessun altro figlio al mondo. Perché siamo persone felici, semplicemente siamo la dimostrazione vivente che la felicità è un sentimento soggettivo, non ne esiste una soltanto. Quello che hai espresso come il massimo dell’insulto, quelli che hai apostrofato con le espressioni più crude possibili per aver fatto la cosa peggiore al mondo, è la nostra quotidianità, la nostra vita reale.

Come ti ha fatto benissimo notare anche la mia grande amica Lisa Noja, non c’entra nulla il concetto che hai espresso “del linguaggio politicamente corretto e del comportamento che ne consegue che stanno paralizzando il pensiero e l’azione, specie a sinistra”. Il ragionamento è semplice e tu sei una persona che ho sempre apprezzato per l’intelligenza e non puoi non rendertene conto: rappresentare una condizione di vita reale come un insulto è irrispettoso e fa soffrire chi quella condizione la vive. E anche se chi è decerebrato può non comprendere un’offesa, può non percepire la violenza fisica o verbale, stai tranquilla che ci sarà chi incasserà per conto suo, chi si sarà sentito umiliato leggendo il tuo pezzo: tutti coloro che conoscono i loro volti ed i loro sentimenti, che li sanno riconoscere e sanno essere riconosciuti perché non li considerano tutti uguali, tutti disabili. Ed infine permettimi di dirti un’altra cosa, tutto questo con la “sinistra” non c’entra nulla.

Ci siamo dovuti difendere da soli dalle tue parole, nessuno di quelli “di sinistra”, nessuno di quelli che di mestiere fa il droghiere dei vocaboli, ti ha manifestato il proprio disappunto, nessuno ti ha fatto notare che probabilmente avevi commesso una leggerezza nell’usare quel linguaggio. Lo stesso comitato di redazione del giornale per cui scrivi, La Repubblica, che qualche giorno prima si era riunito per stigmatizzare le parole di Elkann sui giovani lanzichenecchi, non ha proferito una sola parola di presa di distanze dalle tue espressioni quantomeno forti. Perché “a sinistra”, cara Concita, “l’uso del linguaggio politicamente corretto”, usa una doppia unità di misura, doppia come è spesso doppia la morale, come un droghiere che trucca la bilancia. Tu per certa “sinistra” quelle cose puoi dirle, ti sono abbonate, per qualcun altro si sarebbe scatenato il finimondo. Saremo una società realmente matura, con una forte coscienza civica, quando non dovranno essere le persone coinvolte in qualche modo con la disabilità a ribellarsi, a dover far notare una leggerezza, ma quando nessuno si sognerà di scrivere quelle cose e se anche qualcuno dovesse farlo saranno in tanti a farglielo notare.