Cara Elly Schlein, sulla giustizia impara dalle sardine

Elly Schlein è una giovane politica molto brava. Ha 35 anni, ha preso una marea di voti (oltre ventimila) alle elezioni in Emilia Romagna ed è stata nominata vicepresidente di Stefano Bonaccini. Sa parlare a una sinistra che spesso non ha rappresentanza e, intervistata da Daria Bignardi, L’assedio su La Nove, ha detto tranquillamente che ha amato uomini e donne e che ora ha una compagna. Un gesto bellissimo che però ha un po’ diviso il web tra chi ha applaudito al coming out e chi invece ha voluto sottolineare il fatto che fosse un fatto privato, di poco interesse. Una polemica inutile che non comprende quanto sia importante che sempre più spesso si possa raccontare, serenamente, il proprio orientamento sessuale senza preoccupazione o ansie o paure.
Tutto bene, quindi? Purtroppo no, perché quando c’è di mezzo la sinistra l’inghippo c’è e si vede appena si parla di giustizia.

Anche la vicepresidente dell’Emilia Romagna dopo tante note di merito è cascata sulla prescrizione. Intervistata da Massimo Giannini su Radio Capital ha detto: «Fa specie che stia togliendo spazio a temi che sono secondo me sono ben più rilevanti in questo momento, basta pensare ai dati economici e occupazionali». E no, cara Elly, il tema della prescrizione non è una questione secondaria, perché il diritto a un giusto processo, che non duri tutta la vita, non è un orpello, non è qualcosa che viene dopo i diritti sociali. È un grande tema che pone anche la nostra Costituzione e che va difeso al pari dell’occupazione e della crescita. Sottovalutare il tema della prescrizione, l’importanza di questa sfida, ha inoltre un’altra valenza che va al di là della questione specifica.

Non dare valore alla battaglia che alcune forze politiche stanno portando avanti in Parlamento anche dentro la maggioranza come sta facendo Italia viva, significa non dare la giusta centralità al contrasto della cultura giustizialista che si è imposta in questi anni. Quale nuova sinistra può nascere se non ha a cuore il garantismo? Che nuova sinistra può affermarsi se non sconfigge la cultura dell’odio, della vendetta, della gogna? Parlare di prescrizione significa questo: mettere in agenda la costruzione di una nuova cultura politica e civile che dica basta alla politica e al linguaggio manettari rappresentati in questi anni dai Cinque stelle e dal loro giornale, Il Fatto quotidiano.

In questi mesi le Sardine sembrano discostarsi radicalmente da questa tendenza. È sicuramente il primo movimento, che dopo decenni, non ha come priorità il giustizialismo e le manette. Sono lontani i tempi dei girotondi ispirati dalle procure e dal tintinnar di manette. Mattia Santori e le altre sardine hanno altre priorità che mandare le persone in galera o invocare anni e anni di carcere per qualsiasi problema. Rappresentano un nuovo sentimento che non sempre si traduce in una presa di posizione chiara ma che sicuramente non ama le teorie e le leggi dei giustizialisti. Sulla prescrizione o fanno i vaghi oppure rispondono come ha fatto Jasmine Cristallo, 38 anni, che intervistata a Otto e mezzo ha espresso un parere in linea con quello che viene portato avanti dai penalisti italiani. Ha detto: sono garantista e la Costituzione parla della breve durata del processo. Se una persona commette un reato a 18 anni, già a 30 sarà probabilmente un’altra persona, non più giudicabile.


Coraggiosa, Jasmine. Coraggiosa anche perché ha detto queste cose davanti al capo dei forcaioli italiani, Marco Travaglio. Sì, Cristallo ha specificato come la sua sia una posizione personale e che non può parlare a nome della moltitudine di sardine. Ma si respira un’aria diversa, una nuova aria che fino a qualche anno fa era impossibile quasi immaginare. E lo dimostra la foto che le sardine hanno fatto con Oliviero Toscani e Luciano Benetton, da cui poi – costretti dalle polemiche – hanno dovuto prendere le distanze. Era invece un gesto che non cedeva al giustizialismo e alla gogna.

Elly Schlein dovrebbe capire quanto la sfida per contrastare il populismo penale non sia uno sforzo secondario, ma una battaglia centrale se si vuole uscire dalla barbarie della giustizia sommaria. Non sarebbe sola. Avrebbe come compagna di viaggio sicuramente la grande scrittrice Margaret Atwood, l’autrice del best seller, Il racconto dell’ancella che è divento anche una serie tv di culto. Atwood nel romanzo denuncia i rischi di nuovi totalitarismi, dove le donne perderebbero i loro diritti, tutti e tutte la libertà. Tra questi diritti Atwood indica in un articolo anche il giusto processo, contro ogni forma di giustizialismo. «Credo – ha scritto – che per avere dei diritti civili e umani per le donne debbano esserci diritti civili e umani per tutti, compreso il diritto a una giustizia giusta». Una bella lezione per chi a sinistra continua a sottovalutare il tema. Ma se non si dice addio alla forca la nuova sinistra non nascerà mai. Capito Pd?