Cara ragazza di Palermo, sono il padre della vittima del tristemente noto “stupro di Capodanno” di Roma, e ti scrivo per appoggiarti. Hai fatto bene a reagire contro chi, sui social, ha facilmente concluso che a “una come te” è “normale” che capiti”: inizia così la lettera che il padre della ragazza vittima dello stupro di gruppo avvenuto a Roma, in una villetta di Primavalle, invia alla vittima diciannovenne della violenza del branco di Palermo.

Sei sola, perché gli altri non capiscono“, scrive questo padre, con parole che suonano come un pugno nello stomaco. “Di eguaglianza – ricorda oggi – fra i generi mi ero già occupato professionalmente, ricevendo persino un premio per il mio impegno a tutela delle donne: ma prima che succedesse a mia figlia, a noi – proprio a noi! – io stesso non avevo capito. La gente non capisce” cosa è uno stupro di gruppo, scrive.

Il padre della ragazza violentata a Roma si riferisce, anche, allo sfogo social pubblicato dalla vittima di Palermo nelle scorse ore: “Scrivo per spiegare anche per te a tutti – a ognuno di noi quando viene sfiorato da pensieri come “ma in fondo se l’è voluta”, “ma era provocante”, “ma cosa sarà mai?” – il calvario di un essere spezzato nella sua dignità”. Il padre della ragazza abusata a Roma ricorda l’odiosa pratica del colpevolizzare chi subisce lo stupro, invece dei responsabili.

“Quando si denuncia, si fa a difesa di tutti, per le figlie e i figli di tutti gli altri, in un mondo che dà anzi tutto alla vittima l’obbligo di mantenere l’anonimato. Io e mia figlia – per quanto sia il segreto di pulcinella – dobbiamo firmarci con pseudonimi e iniziali perché è un marchio sociale indelebile essere vittime: e questa è una atroce umiliazione, il primo stupro collettivo da affrontare, e tu che ti sei esposta un po’ di più probabilmente già lo sai”, prosegue la lettera.

“È un disagio enorme  – spiega questo padre, nelle sue righe addolorate, pubblicate dal quotidiano la Repubblica – ma deve rimanere nascosto e, come sempre succede, viene fuori per vie traverse: il profitto scolastico diventa un’altalena; come il suo peso, con oscillazioni fino a 12 chili in pochi mesi, che lasciano segni sulla pelle, contemplati con tristezza da una ragazzina che continua a chiedersi se vale qualcosa di più che un contenitore di sperma usa e getta”.

Una lettera che termina con un messaggio di speranza e solidarietà. Un dolore che non si attenua mai, scrive il padre della vittima di Roma. Ma, conclude: “Cara ragazza, spero che tu abbia intorno meno cinismo e solitudine. Noi, ora ritentiamo; che il 2023 ci porti bene! A settembre un’altra facoltà, un’altra città, con lo strappo – e le spese – di non poter studiare lì dove ci si sentiva a casa, a Roma; che onta essere vittime! Però ora tutto dipende da un’unica cosa: quale responso restituirà la Giustizia italiana? Quanto vale una sentenza? Quale futuro avrà la ragazzina che ora vuol fare il Procuratore per difendere le altre vittime, quale fiducia, quale significato nella vita? Quale messaggio riceverai tu, dopo esserti esposta sui social a nome di tutte, se invece di una decisione che riconosce il vostro coraggio di denunciare e che invia un messaggio educativo per tutti, avrete una formula che, in raffinato linguaggio giurisprudenziale, significa “facevi meglio a ingoiare tutto e stare zitta, rompicoglioni!”

 

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