La piaga degli errori giudiziari
Carcerazione preventiva per troppi innocenti, l’Anm chiede la riforma contro i processi lumaca
«L’ingiusta detenzione è sempre un vicenda lacerante per l’individuo il quale, almeno nei casi di ingiustizia cosiddetta sostanziale, subisce una restrizione della libertà personale pur essendo innocente. Ma il messaggio secondo cui ciò accade sempre perché i giudici compiono valutazioni errate, poco prudenti o poco approfondite rappresenta una inaccettabile semplificazione delle dinamiche processuali». Così il presidente della giunta napoletana dell’Associazione nazionale magistrati, Marcello De Chiara, interviene sul complesso tema delle ingiuste detenzioni e degli errori giudiziari. Difende la categoria, ma ammette che c’è tra i suoi colleghi un ricorso talvolta eccessivo alla custodia cautelare e punta l’indice soprattutto sui tempi troppo lunghi dei processi.
«L’assoluzione dell’imputato, anche se precedentemente sottoposto a custodia cautelare, è una vicenda del tutto fisiologica nel nostro sistema in quanto gli standard probatori della custodia cautelare e quelli della condanna sono diversi: per la prima bastano i gravi indizi di colpevolezza, quindi anche la sola denuncia della persona offesa che superi il vaglio di intrinseca attendibilità, mentre per una condanna sono necessarie prove da cui emerga la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio – spiega De Chiara – Nel processo penale può accadere che il difensore sia abile a far emergere ulteriori e inediti aspetti che attribuiscono all’episodio denunciato un differente significato o che il testimone ritratti le proprie precedenti dichiarazioni». Dunque, per il leader locale dell’Anm un peso sui numeri napoletani sempre molti alti di ingiuste detenzioni lo hanno, oltre che l’elevato numero di procedimenti legati al fatto che sul nostro territorio il fenomeno criminale è fortemente radicato, le dinamiche processuali che riflettono la natura del nostro sistema giustizia.
«L’ingiusta detenzione – afferma – significa che l’imputato è stato assolto ed è quindi intervenuta una sentenza che ha riconosciuto la fondatezza delle ragioni difensive e confutato gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari. La nostra legge processuale prevede che, sulla base di elementi unilateralmente raccolti dal pubblico ministero e fuori da ogni forma di contraddittorio, sia possibile procedere all’applicazione di misure restrittive, sempre che ciò sia necessario per salvaguardare le esigenze cautelari. Se avessimo un sistema nel quale i giudici si appiattiscono acriticamente sulle valutazioni operate dai pubblici ministeri – sostiene De Chiara – avremmo un numero di casi di ingiusta detenzione molto inferiore rispetto a quello registrato perché gli imputati già sottoposti a custodia cautelare immancabilmente verrebbero condannati. Sotto questo profilo è la prova che il sistema comunque funziona».
Eppure un innocente in carcere è sempre un dramma e cento innocenti in carcere ogni anno forse vogliono dire che si ricorre un po’ troppo spesso alle manette. «Certamente l’ingiusta detenzione ripropone la questione del ricorso eccessivo alla custodia cautelare, che però rappresenta una conseguenza indubbiamente deprecabile di un sistema complessivamente incapace di pervenire ad accertamenti aventi il crisma della certezza entro tempi ragionevoli – precisa De Chiara – Per cui il tema principale, a mio avviso, resta sempre quello della ragionevole durata del processo penale».
Urge quindi una riforma? «Sì. Le cause di tale situazioni sono complesse e imporrebbero una complessiva riforma del sistema penale, invocata da magistrati e avvocati ma fino ad oggi solo annunciata dalla politica». «Negli venti ultimi anni si sono registrati numerosi interventi che però hanno modificato singoli istituti processuali al di fuori di qualsiasi visione progettuale, adottati per assecondare logiche di mero consenso elettorale mentre viceversa sarebbe necessario un intervento organico che consenta di ottenere risultati efficaci, ovviamente nel rispetto delle garanzie». L’obiettivo è ridurre i tempi del processo: «Se si lavora per ridurre i tempi dei processi penali – conclude il presidente dell’Anm napoletana – conseguentemente si ridurranno anche i casi in cui è necessario adottare misure restrittive in attesa della sentenza di merito».
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