I dati
Carceri al collasso, ma metà dei detenuti è in attesa di giudizio

Sulla carta il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio, ma nei fatti è spesso la prima soluzione. Si parla tanto, e ora, in periodo di Covid più che mai, di misure alternative, ma si riesce ad applicarle solo a pochissimi. Il carcere è, insomma, un tema delicato e complesso, su cui bisognerebbe informarsi e investire di più. «Il carcere è la prima soluzione a cui si pensa, invece dovrebbe essere l’ultima. E le misure alternative, che ora sono ancora qualcosa di eccezionale, dovrebbero essere l’ordinario, il quotidiano», osserva il garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello. Il suo impegno, la sua speranza, le sue battaglie per la tutela dei diritti dei “diversamente liberi”, come ama definirli, sono orientate a ribaltare queste proporzioni, a ristabilire un diverso rapporto tra i numeri della realtà penitenziaria. Perché se è vero che i numeri valgono a dare forma alla realtà, invertendoli si potrebbe ottenere una realtà diversa, dove i diritti non sono l’eccezione ma la regola e la funzione rieducativa della pena è più una realtà che un’utopia. E allora analizziamoli questi numeri.
Negli istituti di pena della Campania ci sono attualmente 6.648 detenuti, 888 dei quali sono stranieri e 301 donne. Per quali reati sono in cella? Su 6.648, 765 sono dietro le sbarre per reati di criminalità organizzata mentre i più numerosi sono i detenuti per reati contro il patrimonio e reati legati a traffici e vendita di sostanze stupefacenti. In particolare, si contano, nelle carceri della Campania, 2.110 detenuti per rapina, 2.077 detenuti per reati di spaccio di droga e 1.010 detenuti per associazione finalizzata al traffico, anche internazionale, di stupefacenti. Per quei reati per i quali si rischia l’ergastolo, dunque per omicidio, sono in cella 747 detenuti, mentre si contano 450 reclusi per maltrattamenti in famiglia (un centinaio dei quali denunciato dai propri genitori, e qui la parentesi andrebbe aperta anche sulla solitudine di molte famiglie e sul degrado e sul vuoto di assistenza sociale e statale da cui sono circondate). Per reati sessuali sono in carcere attualmente 315 detenuti, 682 per furto, 15 per omicidio colposo, 47 per sfruttamento della prostituzione.
È bene precisare che molti detenuti compaiono più volte in questi numeri, perché si tratta di persone accusate di più reati. Ed è da sottolineare anche un altro dato: dei 6.648 detenuti attualmente reclusi nelle carceri campane circa 3.200 sono in attesa di giudizio, sono cioè presunti innocenti in attesa di una sentenza. «E una quota di questi detenuti uscirà da innocenti senza aver nemmeno fatto i processo di primo grado», aggiunge Ciambriello. E poi ci sono i numeri degli educatori e del personale socio-sanitario, ancora troppo esigui rispetto alla popolazione penitenziaria. Basti pensare che in un carcere grande e affollato come quello di Poggioreale, che conta circa 2mila detenuti, ci sono 18 educatori, quattro dei quali da alcuni giorni sono andati in pensione.
Come si può fare cultura e formazione, rieducazione e reinserimento, se lo Stato non decide di investire nelle risorse? «Vi sembra sensato che con 54mila detenuti in Italia il Ministero abbia messo su un concorso per appena 95 educatori? Sono arrivate 18mila domande…», sottolinea Ciambriello. «Bisognerebbe investire molto di più in risorse umane, in criminologi, psicologi, assistenti sociali – aggiunge – Se il rapporto resta di uno ogni duecento detenuti come si può sperare di aiutare chi è in carcere, di educare e reinserire nella società chi ha commesso un reato? – osserva il garante – Il rapporto dovrebbe essere invece di uno a dieci. Il carcere più che custodia dovrebbe essere accudimento della persona».
«E comunque – aggiunge – non si può farlo diventare una discarica sociale o una sorta di scuola del crimine. Perché anche questo si rischia quando si lascia che i detenuti trascorrano gran parte della giornata in sette, otto o dieci in una cella, senza alternative: è ovvio che finiscono per condividere e alimentare solo le proprie esperienze criminali». «Il vero distanziamento sociale – conclude Ciambriello – è quello che vivono i detenuti, trascurati dalla politica, dalle istituzioni e dal mondo esterno che non si attiva per risolvere problemi come la precarietà, il degrado, la povertà economica, la povertà culturale».
© Riproduzione riservata