Il consenso c’è, il partito manca ancora. Lo spazio per i liberaldemocratici è una prateria, ad oggi, se si calcola il vuoto siderale che c’è tra il Pd e Forza Italia. La ricerca di un partito liberaldemocratico che sappia intermediare e sintetizzare le diverse – e plurali – scuole politiche della società italiana è un leitmotiv che ha accompagnato l’intero corso della prima e della seconda Repubblica.

Dopo il collasso del terzo polo sostenuto dal duopolio Renzi-Calenda, oggi il progetto di un nuovo di un partito centrista che si ispiri agli ideali della tradizione liberaldemocratica è tornato in auge grazie al cantiere di Orizzonti Liberali. Una iniziativa nata da Luigi Marattin, che ha lasciato Italia Viva quando questa ha aderito al “campo largo” di Giuseppe Conte e Elly Schlein. Il contesto italiano, d’altronde, non è l’unico in cui i partiti liberaldemocratici cercano di trovare una propria via e trovare uno spazio in discorsi politici sempre più polarizzati. Un esempio di successo, dopo un decennio di cocenti sconfitte, è senz’altro il partito liberaldemocratico britannico. Nelle ultime elezioni generali il partito guidato dal segretario Ed Davey, complice anche l’exploit del Partito laburista e alla débacle del partito di Sunak, è riuscito a compiere un vero e proprio miracolo politico, conquistando 72 seggi nel Parlamento britannico. Il miglior risultato di sempre nella sua storia elettorale.

Seguendo l’insegnamento dello psicologo statunitense Drew Westen, ovvero che nello scontro tra ragione ed emozione in politica è l’emozione a risultare vincente, è interessante esaminare la strategia comunicativa del partito guidato da Ed Davey che, per catturare l’attenzione del corpo elettorale britannico, ha scelto di seguire il trittico ciceroniano «probare-delectare-movere», ossia «dimostrare-divertire-emozionare». Considerando l’ordinamento istituzionale britannico, altamente polarizzato e con un sistema elettorale maggioritario che non lascia spazio ad elementi terzi rispetto ai due partiti britannici maggiormente rappresentativi, la strategia comunicativa di Davey si è focalizzata sull’invito per la società civile di fare qualcosa per la prima volta e, giocando sul tema, invitava l’elettorato a votare il Partito liberaldemocratico. La strategia di Davey si è strutturata cercando di veicolare il proprio messaggio andando a mescolare informazione e intrattenimento. Non potendo differenziare unicamente i temi, i liberaldemocratici hanno scelto di cambiare il modo di rappresentarli.

La scelta di strutturare una campagna che sapesse unire simbioticamente intrattenimento e contenuti politici non è stata una scelta estemporanea, bensì è il frutto di una profonda riflessione avvenuta all’interno del partito. La strategia di marketing politico utilizzata, come evidenziato dai risultati, al netto delle copiose critiche o ilarità mosse nei confronti di Ed Davey, è risultata vincente e convincente poiché ha saputo mescolare con caparbietà leggerezza e sostanza, non scivolando eccessivamente nel grottesco, ma riportando sempre il focus su ciò che realmente è importante: il manifesto.

Seguendo la nota formula di McLuhan, «il medium è il messaggio», i liberaldemocratici hanno saputo cogliere il senso della primauté del medium comunicativo e, seppur possa sembrare un ossimoro, sono riusciti a conciliare virtuosamente la spettacolarizzazione della cornice con la serietà del contenuto politico. In un’epoca in cui l’apparenza prevale sul reale, il valore dell’iniziativa è stata quella di non cadere vittima dell’eterogenesi dei fini e, pertanto, non confondere mai il mezzo con l’obiettivo.

Lorenzo Della Corte

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