Le toghe di Magistratura democratica, negli ultimi tempi, sono diventate particolarmente ‘suscettibili’ al punto da diramare la scorsa settimana un comunicato in cui smentiscono di avercela con il ministro della Giustizia.

“Fa comodo al mainstream dipingere quadri in cui un manipolo di toghe rosse si oppone a qualsiasi riforma del sistema giudiziario, rifiutando di riconoscere il verdetto delle urne, nella speranza di far sorgere per via giudiziaria il sol dell’avvenire”, si legge nella nota firmata da Andrea Natale, giudice del tribunale di Torino e componente dell’esecutivo di Md.

“Da qualche tempo, poi, circola voce che Magistratura democratica abbia individuato nel ministro della Giustizia un suo ‘nemico’. Niente di più lontano dal vero. Magistratura democratica non ha nemici e, tantomeno, avverte come nemico il ministro della Giustizia ora in carica. Ma questo non ci impedisce di segnare i profondi punti di dissenso rispetto a diverse cose che, sinora, il ministro della Giustizia ha detto, fatto o non fatto”, prosegue Natale prima di elencare tutte le iniziative di Nordio che non trovano il gradimento di Md. Solo per ricordarne qualcuna, dalla stretta sulle intercettazioni telefoniche, alla decisione di avviare l’azione disciplinare nei confronti dei giudici della Corte d’appello di Milano che avevano concesso i domiciliari ad Artem Uss, figlio di un oligarca russo, poi evaso, su cui pendeva una richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti.

Per Md l’agire di Nordio sarebbe in contraddizione con quello che ha sempre affermato, di fatto una delusione per coloro che riponevano in lui grandi speranze per una riforma della giustizia in senso liberale. La circostanza che l’opposizione a Nordio arrivi dai suoi ex colleghi fa certamente sorridere. Mai in passato, infatti, un gruppo di magistrati si era spinto a criticare aspramente un collega che era passato dall’altra parte della barricata. I ‘contrasti’ fra Md e Nordio, comunque, hanno origini lontane.

Nordio, quando era in servizio, non è stato mai legato ad un gruppo della magistratura associata. La prova di ciò è che non ha fatto carriera, arrivando a ricoprire prima della pensione l’incarico di procuratore aggiunto di Venezia, una Procura neppure lontanamente paragonabile a quelle di Milano, Roma o Napoli, e nemmeno di prima fascia. Appena arrivato a via Arenula, Nordio è stato allora visto come un corpo estraneo: lontano da dinamiche correntizie e fautore di riforme, come la separazione delle carriere fra pm e giudici, da sempre viste come il fumo negli occhi da parte delle toghe. Il primo di scontro fra Md e Nordio ci fu subito, qualche giorno dopo l’insediamento, con il decreto ‘anti rave’.

Una “truffa delle etichette” fecero sapere da Md, bollando la norma come “pericolosa” in quanto poteva entrare in “drammatica collisione con i nostri diritti e valori fondamentali”.
“Se questo è il biglietto da visita del nuovo esecutivo in materia penale, ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale”, annunciarono allora le toghe, richiamandosi al “resistere, resistere, resistere” pronunciato dall’allora procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli durante i tempi eroici di Mani pulite.

Dopo il decreto ‘anti rave’ si passò alla riforma della protezione speciale. Il governo non metta “ancora ostacoli” con i respingimenti dei migranti “a cui si nega il diritto a richiedere la protezione internazionale”, dissero le toghe. L’ultima polemica in ordine di tempo ha riguardato il silenzio dei vertici del palazzo di giustizia di Milano durante la recente visita di Nordio. Qualche giorno prima vi era stata al Palazzo di giustizia di Milano un’assemblea dove, sempre le toghe rosse, avevano criticato l’azione disciplinare avviata da Nordio. Secondo Md l’occasione sarebbe stata allora propria per far sentire la propria voce contro il ministro.
Che Md abbia una concezione alquanto originale dell’esercizio dell’attività giurisdizionale emerge chiaramente dalle parole del giudice della Corte d’appello di Catanzaro Emilio Sirianni, da poco rimosso dall’incarico dal Consiglio superiore della magistratura.

La vicenda di Sirianni era finita anche nel libro Lobby e Logge di Alessandro Sallusti e Luca Palamara, e Il Mostro di Matteo Renzi. Sirianni, esponente di punta di Md in Calabria, parlando al telefono con Mimmo Lucano, allora sindaco di Riace, poi arrestato e condannato in primo grado a tredici anni di carcere per la vicenda relativa alla gestione dei migrati nel piccolo paese della costa ionica calabrese, oltre a fornire ‘consigli’, criticava i colleghi, affermando che “Magistratura democratica è nata con una cultura della corporazione, dicendo: noi non siamo giudici imparziali, o meglio noi non siamo indifferenti, noi siamo di parte”. E ancora: “Purtroppo questi giovani magistrati sono dei ragazzi che sono cresciuti con la televisione di Berlusconi, non hanno una conoscenza della realtà sociale, non hanno una empatia politica con quello che gli succede attorno. Specialmente quelli che vengono in Calabria non sanno un cazzo della Calabria. Su cento di loro, uno forse ha la sensibilità sociale e politica. Tutti gli altri sono ragazzi di famiglie benestanti che hanno studiato”.

Paolo Pandolfini

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