Nel Mezzogiorno si produce il 50% circa del totale di elettricità da fonti rinnovabili
Caro energia, aziende e fondi del Pnrr a rischio: ma il Sud su eolico e solare può fare la differenza

Non meno di 120 mila piccole e medie imprese sul punto di chiudere. E 370mila posti di lavoro sono ad alto rischio. Il Paese sta per imboccare l’autunno più critico dai tempi della crisi finanziaria del 2008. L’allarme del presidente Carlo Sangalli, lanciato all’assemblea di Confcommercio Campania, è solo uno dei segnali di emergenza dovuti al caro energia, causato da un innesco speculativo che si è combinato con la rinuncia progressiva alle forniture di provenienza russa, a seguito delle sanzioni.
Colpi che si abbattono su un tessuto produttivo già sfibrato, specialmente nel Mezzogiorno, dopo anni in cui si è manifestata sempre di più la debolezza strutturale di un Paese che non riesce a tornare sui binari della crescita, con un tessuto produttivo che è da seconda potenza industriale europea, tuttavia minato dalla contrazione dei consumi e da una insostenibile pressione fiscale. Ad aggravare ulteriormente un quadro già difficile, la previsione che il 2022 si potrebbe chiudere con un’inflazione media al 7,5%. La situazione è seria, anche perché il combinato appunto di inflazione e mancata crescita rischia di compromettere gli impegni assunti con i finanziamenti europei del PNRR.
Il rischio è di perdere l’appuntamento con l’ultima occasione che ha il Sud di mettersi in pare con il Nord, come ha sottolineato con rammarico il presidente di Confcommercio: “La messa a terra del PNRR non ha dato ancora i frutti sperati, ma pesano anche i soliti deficit sistemici, anche in termini di capacità di progettazione, esecuzione e vincoli burocratici”. Va rammentato che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) assegna all’Italia una cifra cospicua, vale a dire 191,5 miliardi, ma i prestiti da restituire sono in quota maggiore rispetto alle sovvenzioni: 121 miliardi contro 70. E’ quindi legittima la preoccupazione a proposito degli esorbitanti prezzi dell’energia, che riducono la capacità competitiva delle nostre aziende rispetto a quelle dirette concorrenti, sia sui mercati europei che internazionali.
Sarà quindi davvero complicato per il prossimo governo e per l’Unione europea tenere la barra dritta, specialmente qualora il conflitto tra Russia e Ucraina dovesse perdurare. Ricordiamo che l’Europa ha voluto affrontare la pandemia tenendo fermi gli obiettivi della lotta alle emissioni climalteranti, vale a dire partendo da programmi da New Green Deal, che prendevano a riferimento polare la transizione energetica ed ecologica. Sapevamo molto bene che comunque avremmo avuto un primo periodo di passaggio avendo il gas come risorsa prioritaria, chiamata a svolgere, almeno inizialmente, il ruolo di fornitura energetica di base.
Potremo contare su questo supporto necessario, sia pure in via transitoria, solo con interventi rapidissimi verso la realizzazione di impianti rigassificatori e con uno sveltimento sostanziale del permitting per favorire lo slancio delle energie rinnovabili, che rappresentano l’unico presupposto concreto per ridurre la nostra dipendenza energetica da approvvigionamenti esteri. In questo quadro il Mezzogiorno può svolgere un ruolo fondamentale per una Europa che guardi allo scenario mediterraneo, e non più solo continentale.
L’area mediterranea è il bacino energetico del futuro. Nel Sud Italia già oggi si produce il 50% circa del totale dell’elettricità da fonti rinnovabili, come eolico, solare, bioenergie e geotermica. Puglia, Campania e Sicilia sono tre le regioni in pole position per concentrazione e sfruttamento virtuoso di eolico, solare, biomasse e biogas e registrano infatti le percentuali di produzione energetica verde più significative. Con la Basilicata, che da sola pesa per l’84% della produzione a terra di oil e gas.
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