Due domande nello stagno
Caro Travaglio, che c’è stato tra te e Consip? Che cosa nascondi con il silenzio?

Dobbiamo ripeterci ma a volte – si sa – repetita juvant. Trascriviamo un’altra volta il testo del verbale di intercettazione di cui abbiamo parlato sul Riformista del 21 febbraio scorso. Sono verbali connessi alle indagini sul cosiddetto scandalo Consip, richiamati dal GIP Gaspare Sturzo.
È il 19 febbraio del 2017. L’intercettato è il dottor Francesco Licci, capo delle relazioni esterne di Consip e capo della commissione che doveva decidere sulle 18 gare di appalto che sono l’oggetto della inchiesta (capo della Commissione giudicatrice FM4 ndr). Sta parlando con l’amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni. Dice, testualmente, il verbale: «Licci Francesco chiama Marroni Luigi e gli dice: “Oggi il Fatto ce n’ha per tutti…”. I due commentano un articolo del Fatto che attacca la Panozzo (dirigente anticorruzione di Consip), nell’articolo c’è scritto: “Sta lì a far niente”. Commenta Marroni: “Sempre che ci siano corrotti”. Licci: “I giornalisti danno sempre per scontato che i corrotti ci siano”. Marroni si pone la questione se conviene “fare una strategia con il Fatto”. Licci dice che ha già contattato una società “che fa questo di mestiere e gli ha passato tutto l’incartamento”. Dice di aver “contattato un amico che lavora a Roma ed è molto bravo: Gianluca Comin”».
Il 21 febbraio abbiamo posto le seguenti domande dirette e indirette al Fatto Quotidiano e al suo direttore Marco Travaglio.
Domanda. In cosa doveva consistere questa strategia “col Fatto”? Seconda domanda: questa strategia poi si è concretizzata? Terza, quarta e quinta domanda: Il Fatto ha avuto un ruolo attivo o solamente passivo? Il Fatto era partecipe o vittima? Ne ha tratto vantaggi o svantaggi? Voi capite che le domande sono importanti. Perché in tutta la vicenda Consip Il Fatto ha avuto un ruolo importantissimo. È stato, forse, il primo protagonista. E poi sono importanti anche per un’altra ragione. L’inchiesta Consip parte con alcuni depistaggi e alcune contraffazioni (volontarie o involontarie) dei verbali dei carabinieri. Per questo è giusto stare molto attenti alle intercettazioni vere. Poi che sia giusto o no fare queste intercettazioni è un’altra questione.
Ma il fatto vero, e non è un gioco di parole, è che a tutt’oggi, nonostante nuove sollecitazioni fatte anche oggi dal Riformista, il Fatto non risponde. E non risponde il suo direttore Marco Travaglio.
Il che ci costringe quasi a far buona la tesi andreottiana (mai amata perché poco garantista, ma di sicuro molto “pragmatista”) che a “pensar male si fa peccato ma ci si indovina”, e a concludere che il silenzio reiterato di Travaglio e del suo giornale possa avere il solo obiettivo di non far da grancassa a una notizia, secondo il vecchio adagio che la replica a una notizia altro non è che il raddoppio della notizia stessa.
Teorema orribile (settore in cui Travaglio è abilissimo maestro), che però può significare solo che allora davvero il Fatto quotidiano sia stato allertato e contattato dai lobbisti amici di Marroni e Licci. E che quindi anche il Fatto ha a che fare con lo scandalo Consip. O no?
Il silenzio è d’oro, si sa. Ma applicato a un fine dicitore, mai silenzioso, come Travaglio, sembra grigio e cupo come il piombo.
Però noi rifacciamo la domanda, una, che vale per tutte le altre: caro Travaglio, nello scandalo Consip, stai nascondendo qualcosa sul ruolo del tuo giornale?
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