Cade il totem 5S
Cartabia cestina la riforma Bonafede: torna la prescrizione e la giusta durata del processo
Bilanciare i diritti in gioco in un processo – quelli delle vittime e quelli degli imputati – , fare sintesi delle posizioni dei vari schieramenti, responsabilizzarsi per non perdere i soldi del Recovery: è questa la ricetta della ministra della Giustizia Marta Cartabia, emersa ieri durante l’incontro online con i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera chiamati a discutere degli emendamenti al dl delega penale con la commissione ministeriale, presieduta dal presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi.
L’onorevole Federico Conte di Leu, colui che ha dato il nome al famoso lodo-Conte bis, si dice «soddisfatto» dell’incontro e ci spiega che la commissione ha presentato due proposte in merito al tema più divisivo, la prescrizione: «La prima ipotizza la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado solo per il condannato; inoltre sarebbero due gli anni entro i quali terminare l’appello e uno per la Cassazione. Tale ipotesi è in perfetta continuità con il lodo Conte bis perché opera solo sulla sentenza di condanna. La seconda ipotesi invece è convergente con l’emendamento da me presentato: affianca alla prescrizione sostanziale quella processuale perché prevede l’estinzione del processo o comunque delle sanzioni in termini di riduzione della pena nel caso in cui vengano sforati i termini di fase».
Sul tema si è espressa in termini generali anche la Guardasigilli: «Con la prescrizione la domanda di giustizia da parte delle vittime rimane frustrata» e «lo Stato manca al suo compito di assicurare l’amministrazione della giustizia». Altra disfunzione prodotta dai processi troppo lunghi – ha aggiunto la professoressa Cartabia – è «la violazione del fondamentale diritto alla ragionevole durata del processo da parte degli imputati. Un diritto garantito dalla Costituzione, oltre che dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo» e che «affonda le sue radici nell’esigenza di assicurare il rispetto effettivo della presunzione di innocenza». Intervenire sui tempi del processo penale è dunque necessario anche per contenere i rischi che esso «si trasformi in un anticipo di pena, quanto meno sul piano sociale»; perché con l’apertura di un processo «l’imputato – specie se il fatto è reso pubblico nel circuito mediatico – è esposto a un pregiudizio di colpevolezza sociale che può avere gravi ripercussioni sulla sua reputazione, sulle sue relazioni personali e sociali, sull’attività economica e su molti altri aspetti della vita della persona».
Altre fonti parlamentari hanno fatto sapere che un’altra proposta della commissione ministeriale sarebbe quella per cui il pm non potrà appellare né le sentenze di assoluzione né quelle di condanna. Inoltre in appello il rito sarà camerale e solo su richiesta ci sarà la trattazione orale. Positivo il commento di Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione: «Il lavoro della Commissione ministeriale è organico, serio ed argomentato, ispirato ai principi costituzionali della presunzione d’innocenza e della ragionevole durata del processo. E soprattutto archivia nettamente la riforma Bonafede sulla prescrizione».
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