Manca l’ok del Consiglio
Case green e auto elettriche, così cambia la Transizione ma alle destre non basta
Dopo un anno di trattative il Parlamento approva la direttiva. Anche il PPE vira sulla mobilità: «Abbiamo bisogno di più tecnologia, non di divieti!»
Le elezioni per il Parlamento Europeo sono ormai prossime, ma nel discorso pubblico si ravvisano ben poche tracce di dibattiti sull’Europa, sulla sua struttura, sui suoi indirizzi e tanto meno di campagne elettorali per promuovere chi dovrà andare a Strasburgo. Anche se le riunioni delle commissioni si svolgono a Bruxelles e il Segretariato generale è in Lussemburgo. Molto probabilmente, le varie e distanziate consultazioni regionali – di cui, anche per convenienza giornalistica, si tende a sovrastimare la valenza nazionale – non aiutano. Anche per il tecnicismo che alle europee si corre e si arriva separati, mentre alle regionali, pur con tante liste, conviene apparentarsi in coalizione. Per ora, la questione che pare trovare più spazio nei media è l’eventuale canditura delle due leader di maggioranza e opposizione, Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Fatto che mette a nudo una certa povertà di pensiero e proposta delle forze politiche sui temi specifici dell’Europa. Eppure, è difficile non pensare che l’attenzione degli elettori nei confronti dell’Unione Europea non sia in crescita, benché ai più sfuggano le basi dell’architettura istituzionale, dei ruoli e dei poteri della Commissione, del Consiglio e del Parlamento, visti spesso come una tecnostruttura burocratica di dubbia legittimazione politica e non particolarmente connessa con la realtà sociale ed economica.
Tra le politiche europee di maggior interesse crediamo di poter facilmente annoverare quelle relative alla cosiddetta transizione ecologica, il Green Deal, posto dalla presidenza von der Leyen al centro della propria iniziativa politica, narrativa e dell’allocazione dei fondi. Una transizione che però, svaniti in fretta gli entusiasmi iniziali, complice anche il degenerare in guerra aperta e duratura dello scontro russo-ucraino, si è ben presto rivelata molto più complessa e impopolare di quanto immaginato dai suoi promotori. In diversi, almeno tra gli addetti ai lavori, avevano avvertito che la transizione avrebbe inevitabilmente comportato passaggi complicati e irti di difficoltà, con costi sociali ed economici da compensare, strategie di mercato e produttive da ripensare, innovazioni tecnologiche da implementare e da gestire; il tutto attraversato da un’altra transizione, quella digitale che sta preparando il terreno all’arrivo potenzialmente dirompente dell’Intelligenza Artificiale. L’errore, che i posteri potrebbero definire storico, dei fautori e promotori della transizione verde, che è innanzi tutto transizione energetica, e dunque dell’asse von der Leyen-Timmermans è stato quello di trascurare le dimensioni sociali e industriali, scommettendo troppo sui benefici di domani, senza tener ben in conto i costi di oggi. Temi che ben si prestano a discussioni (e ripensamenti) di fronte al corpo elettorale, come pure sta avvenendo altrove.
Due esempi molto concreti: case e automobili. La revisione della direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, nota anche come direttiva “Case green”. Il testo, approvato dal Parlamento e in attesa di approvazione dal Consiglio, prevede che tutti i nuovi edifici siano a emissioni zero a partire dal 2030 e che i nuovi edifici occupati o di proprietà di autorità pubbliche siano a emissioni zero a partire dal 2028. Per gli edifici residenziali, gli Stati membri dovranno mettere in atto misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata di almeno il 16 per cento entro il 2030 e di almeno il 20-22 per cento entro il 2035. Gli Stati membri dovranno ristrutturare il 16 per cento degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030 ed entro il 2033 il 26 per cento con le peggiori prestazioni, introducendo requisiti minimi di prestazione energetica. Gli Stati membri dovranno adottare misure per decarbonizzare i sistemi di riscaldamento, con l’obiettivo di eliminare gradualmente i combustibili fossili dal riscaldamento e dal raffrescamento entro il 2040.
A partire dal 2025 sarà vietato erogare incentivi per caldaie autonome a combustibili fossili, mentre si potranno incentivare i sistemi di riscaldamento ibridi che utilizzano una quota considerevole di energia rinnovabile, come quelli che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore. Gli edifici agricoli e gli edifici storici potranno essere esclusi dagli obblighi, e i governi potranno decidere di escludere anche gli edifici protetti per il loro valore architettonico o storico, le chiese e i luoghi di culto. Da notare che la scadenza del 2040, nel testo che andrà al voto, non è da intendersi come un termine perentorio, ma più come un obiettivo verso il quale tendere, con qualche dunque possibilità di posticipi. Posticipi che nei Paesi più bisognosi di interventi, come l’Italia, potrebbero contenere non poco la spese di adeguamento sopportate da singoli cittadini o (peggio) dalla collettività.
Per le auto invece partiamo dalla Germania dove Cdu e Csu hanno inserito nel programma per le europee di giugno – e già dichiarato più volte – l’abolizione del divieto di vendita di auto endotermiche al 2035. Anche se in verità, proprio per volontà tedesca è già previsto che vengano approntate delle norme per permettere la commercializzazione dopo il 2035 di automobili che funzionino con carburanti climaticamente neutrali.
Nel manifesto del Partito popolare europeo (Ppe), che ha confermato la candidatura di von der Leyen alla guida della Commissione e in cui Cdu e Csu confluiscono, il 2035 non è nominato; non manca però, in materia di mobilità, lo slogan: “Abbiamo bisogno di più tecnologia, non di divieti!”. E ancora si legge nel resto del documento: “Il Ppe sostiene un approccio tecnologicamente neutrale per lo sviluppo di carburanti alternativi, tecnologie dell’idrogeno e nuovi gruppi propulsori per veicoli, aerei e navi.
Supportiamo i nuovi combustibili liquidi sostenibili poiché possono essere utilizzati con le attuali infrastrutture di rifornimento e catene di approvvigionamento”.
In Germania senza gli incentivi le immatricolazioni di vetture elettriche, al contrario delle altre alimentazioni, perdono decisamente colpi (meno 15 per cento a febbraio), mentre i conti elettrici delle case nazionali, Volkswagen in testa, sono lontanissimi dagli obiettivi. Come quelli della 500 elettrica, ma anche della 600, di Stellantis.
Siamo certi che del futuro dell’auto, alla fine, si parlerà anche nella campagna elettorale italiana. Il superamento del bando dovrebbe essere un cavallo di battaglia per i partiti di centrodestra. Dall’altra parte qualcuno potrebbe riposizionarsi. Crediamo non siano pochi gli elettori che vorrebbero saperlo.
Possibilmente in tempo utile per il voto.
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