L’inchiesta sul dossieraggio e la sentenza di assoluzione sul caso Consip portano in primo piano e alla luce del sole una delle questioni che ritengo più rilevanti non solo in relazione al venir meno dell’equilibrio e di un corretto rapporto tra i poteri dello Stato (visto che ormai l’informazione di fatto va considerata a pieno titolo un “potere”) ma anche perché va a configurare un’autentica lesione allo svolgimento della vita democratica nel nostro Paese. In ambo i casi emergono con grande evidenza le “perverse” connessioni tra le redazioni giudiziarie e di programmi definiti “di inchiesta” e molte procure della repubblica, oltre che con ambienti della polizia giudiziaria e non di rado con quelli dei servizi segreti.
Ma a questi due casi che le cronache ci hanno consegnato nelle ultime settimane si potrebbero aggiungere miriadi di occasioni nelle quali avvisi di garanzia vengono conosciuti prima dai giornali che attraverso le vie legali, dove le intercettazioni (anche quelle non rilevanti ai fini processuali) vengono distribuite ai mezzi di informazione “avendo cura” che ciascuno ne abbia una parte diversa e, più in generale, in barba al dettato costituzionale sulla presunzione di non colpevolezza, tutto il sistema si attrezza per lo svolgimento del processo mediatico che si apre. Non aggiungo nulla, ma anzi rimando alle parole impeccabili che Giandomenico Caiazza ha scritto sulle pagine di questo giornale martedì scorso a proposito del ruolo del giornalista e della natura di una “inchiesta” che vengono mortificati, per essere benevoli nella critica. Semmai quello che colpisce è che, come accade per i magistrati, anche per i giornalisti quando succedono certe cose trovarne uno che critica apertamente e senza reticenze questo sistema è un’operazione assai difficile se non impossibile.
Mi concentro invece sul tema della lesione allo svolgimento della vita democratica di un paese. Perché se due poteri così forti come quello giudiziario e quello dell’informazione (ovviamente sto generalizzando ai fini di un ragionamento, per fortuna non tutto è cosi sia nella magistratura che nell’informazione) nelle loro relazioni più degeneri (per esempio costruendo e veicolando prove false) spingono per far saltare un Presidente del Consiglio in carica, o cercano (attraverso dossieraggi finalizzati a colpire potenziali ministri) di far saltare un governo che si è formato sulla base di un’ampia maggioranza costituita grazie al voto democratico, la lesione allo svolgimento della vita democratica si realizza a prescindere dal fatto che il disegno vada in porto o meno. Il giorno della sentenza Consip – che tra gli altri ha visto assolti Luca Lotti, Tiziano Renzi, il generale Saltalamacchia e l’editore di questo giornale Alfredo Romeo e condannato gli artefici delle accuse contro di loro – ho sentito Enrico Mentana spiegare che la notizia era nei titoli di apertura del tg perché era doveroso dare conto con la stessa evidenza e rilievo la notizia dell’assoluzione rispetto alla notizia dell’apertura dell’indagine.
C’è solo un piccolo particolare: quella notizia, fondata su tutto il male oscuro che oggi grazie al processo abbiamo conosciuto, ha colpito per giorni, settimane e mesi per 7 anni non solo le singole persone ma una intera vicenda politica che ne è stata massacrata. C’è qualcuno che ha l’onestà intellettuale di dire che tutta quella operazione è stata una vera e propria lesione alla vita democratica nel nostro paese? Qualcuno ha provato a riflettere cosa ha significato per la sua vita privata ma anche per la sua attività professionale la galera alla quale è stato ingiustamente condannato Alfredo Romeo? E, se lecito, chi ha imbastito volontariamente un’operazione del genere sarà mai chiamato a risponderne? Ho visto che alcune autorevoli voci mettono in dubbio l’utilità del mantenimento della Procura antimafia (compreso il Direttore di questo giornale) ricordando che questa nasce con l’intento di una misura emergenziale e che avrebbe dovuto avere una durata a tempo. Si potrebbe dire la stessa cosa del 41bis e di tante altre norme che (ahimè per una storica prassi nel nostro paese) ben presto trasformano l’emergenza in ordinarietà e l’ordinario in eterno. Ho sentito molte grida di dolore (qualcuno ha parlato addirittura di eversione) alzarsi da parte di esponenti di partito e dell’attuale governo in relazione al depistaggio emerso in questi giorni. Ma non ho sentito nessun grido di dolore (a parte le “nostre” amare considerazioni) per una vicenda, quella della inchiesta Consip, che ha rappresentato davvero un atto eversivo leggendo la sentenza di primo grado.
Tutto questo fa riflettere sul perché da noi alla fine nessuno, tranne pochi illuminati e coraggiosi, voglia mettere fine a questo sistema che rischia seriamente di condizionare la vita democratica del nostro paese. Intanto perché c’è sempre qualcuno che del sistema ha fatto parte. Ma poi sono in molti coloro che gridano allo scandalo quando certe cose accadano contro di loro ma sono pronti a cavalcarle quando riguardano qualche avversario, a maggior ragione se è particolarmente “forte”, un po’ come succede col garantismo. Come se non fosse evidente che il vero garantista lo è prima di tutto nei confronti del suo più acerrimo nemico altrimenti, per dirla alla Guzzanti, “so boni tutti!”. Ecco, diciamo che leggendo l’editoriale di presentazione del Direttore Barbano su come vorrebbe il suo giornale mi permetto di fornire un primo obiettivo riformista: torniamo alla nobiltà e al valore sostanziale della politica, lavoriamo perché si formi una “amicizia intellettuale” sul valore della politica e delle scelte “alte” che si compiono, per migliorare le cose senza farsi condizionare dai colori e dalle appartenenze. Ci sono riforme urgenti, necessarie e giuste da fare, anche e non solo nel campo della giustizia. Sia al centro, “il Riformista”, dell’incontro delle buone volontà ed il motore del fare. Senza arroganza né prepotenza ma anche senza indugio. È forse proprio quando il tempo non sembra essere quello adatto che vale la pensa di uscire.