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“Caso Consip: eversione di Stato”, l’articolo censurato dal Fatto Quotidiano
Sul Foglio di oggi è uscito un bellissimo articolo del collega Ermes Antonucci intitolato “Il vero scandalo Consip è l’inchiesta: indagati assolti, investigatori condannati“. Il pezzo è di quelli da leggere: spiega come mai il Tribunale di Roma abbia assolto da ogni accusa otto imputati, fra cui Tiziano Renzi e Luca Lotti, mentre abbia condannato il carabiniere Giampaolo Scafarto colpevole di fughe di notizie in favore di giornalisti e colleghi amici o di averne omesso la denuncia.
Colgo l’occasione per ripubblicare qui l’articolo, intitolato “Caso Consip: eversione di Stato” che l’11 aprile 2017 pubblicai per qualche minuto sul sito web de Il Fatto Quotidiano, testata per la quale collaboravo come giornalista professionista dal 29 marzo 2011. Poche ore dopo la pubblicazione il mio pezzo fu censurato dal direttore Peter Gomez (le motivazioni — errate, col senno di poi — ve le lascio in calce al presente articolo). Decisi così di pubblicare il mio lavoro sul sito de l’Espresso, che però, in seguito, ha ritenuto inopinatamente di cancellare tutto l’archivio dei miei lavori dal suo portale. In seguito alla censura di Gomez, a distanza di alcuni mesi decisi di troncare il rapporto di collaborazione con Il Fatto Quotidiano. Oggi però credo abbia un senso ripubblicare quell’articolo dal momento che, altrimenti, non ne rimarrebbe traccia nel web. E soprattutto perché la tesi centrale del mio articolo corrispondeva a verità: “L’inchiesta è dunque morta, e si va verso un’archiviazione delle posizioni di Tiziano Renzi, artatamente colpito per infangare suo figlio” proprio al contrario di quanto sosteneva il mio ex direttore.
Allo stesso modo va riconosicuto che la componente di volontarietà della “trascrizione errata” da parte di Scafarto non è invece stata dimostrata, ma solo perché “per i giudici Scafarto ha commesso questi atti, ma hanno ritenuto assente l’elemento soggettivo del reato”. Dunque la “trascrizione errata” è stata certamente commessa da Scafarto, ma secondo i giudici non è stato possibile dimostrare la volontarietà dell’errore, che lo avrebbe portato a essere qualificato come “falso” e non come “errore”. Ecco a voi l’articolo dell’aprile 2017:
“Caso Consip: eversione di Stato
Il dizionario Treccani alla voce “eversione” indica: “Rovesciamento, sconvolgimento del potere costituito anche attraverso atti rivoluzionarî o terroristici: mirare all’e. dello stato e delle sue istituzioni; le forze dell’e.; anche con uso assol.: combattere l’e.; lottare contro l’eversione.”
Da quando sono giornalista professionista, il 2003, non ho mai utilizzato questo termine nei miei articoli, né di commento né di cronaca, appunto perché sono consapevole dell’enormità del suo significato. A maggior ragione perché la storia della Repubblica italiana ha conosciuto momenti in cui il popolo si è trovato dinanzi a casi di eversione di Stato – ossia quando pezzi dello Stato tramano contro altri pezzi dello Stato – e a tutt’oggi non sono chiare quelle piste eversive che hanno giustamente portato a parlare negli anni di piombo di “strategia della tensione” o “stragi di Stato”.
Oggi tutti i giornali – beh, via, quasi tutti i giornali – danno gran risalto alla gravità di quanto ha scoperto ieri la Procura di Roma: l’architrave del caso Consip, quello che ha fatto sì che la stampa nazionale aprisse con titoli di prima pagina su queste indagini, è un falso, una manipolazione. Non si tratta infatti di una “trascrizione errata” come qualcuno ha avuto il senso dell’umorismo di scrivere, ma di un falso vero e proprio, con chiaro dolo nei confronti della persona interessata, Tiziano Renzi. L’architrave del caso è dunque crollata: il contatto fra l’imprenditore Romeo e il padre dell’ex presidente del Consiglio non c’è mai stato.
Siamo dunque dinanzi a una trascrizione volutamente falsificata di un’intercettazione da parte del capitano dei carabinieri del Noe, Giampaolo Scafarto, al fine di danneggiare pubblicamente Tiziano Renzi per colpire politicamente il figlio, capo del Governo. Questo è quanto sostengono i magistrati della Procura di Roma che hanno ereditato l’inchiesta da Napoli, e hanno dunque indagato per falso materiale e falso ideologico il capitano dei carabinieri che conduceva le indagini per conto del pm John Woodcock perché il militare “redigeva nell’esercizio delle sue funzioni” l’informativa finita agli atti dell’inchiesta, nella quale riferiva fatti secondo i magistrati differenti rispetto a quelli ascoltati e accaduti.
Sul punto i magistrati romani non hanno dubbi: che tale affermazione, scrivono, “fosse stata proferita da Italo Bocchino era riportato correttamente sia nel sunto a firma del vicebrigadiere Remo Reale, sia nella trascrizione a firma del maresciallo capo Americo Pascucci, presenti nel brogliaccio informatico”. A conferma, l’ex parlamentare Bocchino ha successivamente messo agli atti di non aver mai incontrato Tiziano Renzi.
Non è l’unico falso contestato al capitano Scafarto. Nella stessa informativa, secondo il pm Mario Palazzi, “al fine di accreditare la tesi del coinvolgimento di personaggi asseritamente appartenente ai servizi segreti ometteva scientemente informazioni ottenute al seguito delle indagini espedite”. In sostanza, non erano agenti dei servizi segreti quelli che spiavano i carabinieri mentre recuperavano i foglietti di Romeo dalla spazzatura, ma un tizio qualunque, che abitava da quelle parti. Interrogato oggi, Scafarto si è avvalso della facoltà di non rispondere, cosa che se anche rientra nella strategia del suo avvocato difensore, assume per ora toni ancora più inquietanti. E’ credibile che il capitano dei carabinieri Scarfato abbia fabbricato prove contro Tiziano Renzi al fine di colpire il presidente del Consiglio per una sua iniziativa personale? Ha agito da solo? O con chi? O per conto di chi?
L’inchiesta è dunque morta, e si va verso un’archiviazione delle posizioni di Tiziano Renzi, artatamente colpito per infangare suo figlio. L’ex premier, ospite ieri di Porta a porta, sul punto ha attaccato Beppe Grillo: “Io rivendico la parola onestà, non ne faccio un uso strumentale e demagogico come qualche altro partito che ci ha fatto una campagna elettorale. Al Movimento 5 Stelle voglio dire che prima di sputare sentenze dovrebbero leggersi le carte. E a Beppe Grillo che ha parlato del rapporto con mio padre voglio dire solo una parola: vergognati”.
Se però siamo dinanzi a un caso di eversione di Stato, siamo proprio sicuri che l’unica cosa da fare da parte di quei pezzi dello Stato, di quegli uomini politici, di quei giornalisti che hanno cavalcato lo scandalo fasullo, sia di vergognarsi?
[N.B. per correttezza, questo post è stato proposto stamattina in prima battuta al sito web de Il Fatto Quotidiano, che ha però ritenuto alle 13:32 di non pubblicarlo con la seguente motivazione: “Ciao Sciltian, abbiamo letto il tuo post ma abbiamo deciso di non pubblicarlo. L’inchiesta è molto complessa e non si può dire che sia morta dopo gli sviluppi di ieri. Metto in copia il direttore che ti risponderà più dettagliatamente”. Personalmente, non dubito che l’inchiesta sia complessa, ma ritengo che la parte relativa alla situazione di Tiziano Renzi sia ora in un vicolo cieco a meno di nuovi, clamorosi, colpi di scena che – al momento – non si scorgono all’orizzonte. Date le circostanze e la gravità della notizia in questione, ritengo che questa andasse pubblicata oggi, almeno rimanendo fedele a uno dei più celebri motti del giornalismo: “All the News That’s Fit to Print.”]”
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