Il giallo dei dossier
Caso Dossier, la Finanza si smarca: Striano agiva sotto il diretto controllo della Procura nazionale
Il comandante generale della Guardia delle Fiamme gialle Andrea De Gennaro ha parlato ieri di fronte alla Commissione parlamentare antimafia. La politica tuona, Gasparri: la presenza di De Raho in Commissione assolutamente inopportuna
L’ex maresciallo della guardia di finanza Pasquale Striano non ha agito da solo ed i suoi superiori erano al corrente di ciò che faceva.
È quanto, in estrema sintesi, emerso ieri dall’audizione in Commissione parlamentare antimafia del comandante generale delle fiamme gialle Andrea De Gennaro, a proposito dell’indagine per accesso abusivo a sistema informativo e rivelazione del segreto che vede Striano come principale indagato.
Il finanziere, in particolare, è ritenuto responsabile dalla Procura di Perugia, diretta da Raffaele Cantone, di aver effettuato circa 30mila accessi ingiustificati presso le varie banche dati accessibili dalla Direzione nazionale antimafia.
De Gennaro, dopo aver sottolineato l’importanza ai fini investigativi delle interrogazioni presso le banche dati e la conseguente necessità di proteggerle dalle intrusioni illecite, ha ricostituito per la prima volta la carriera ed il profilo d’impiego di Striano, personaggio chiave dell’inchieste perugina di cui non si conosce nulla e del quale in rete esiste solo una sbiadita fotografia. Striano godeva della “massima fiducia” dei magistrati in servizio presso l’Antimafia e dei suoi superiori, ha esordito De Gennaro. Il finanziere aveva eccellenti note caratteristiche. Prima di arrivare a via Giulia, dal 1999 e fino al 2018, era stato impiegato presso la Direzione investigativa antimafia (Dia), un reparto interforze composto da carabinieri, finanzieri e agenti di polizia.
Durante la sua lunghissima permanenza alla Dia, Striano aveva partecipato ad un concorso interno per diventare ufficiale. Concorso che aveva superato agevolmente, grazie anche al punteggio aggiuntivo dovuto alle sue eccellenti valutazioni di professionalità.
Terminato il corso di formazione, invece di essere trasferito ad un altro incarico, Striano era rimasto all’Antimafia, continuando a svolgere i compiti che faceva quando era maresciallo. Una circostanza alquanto singolare dal momento che, dopo essere stato promosso al grado superiore, è previsto il cambio di sede e, soprattutto, il cambio di incarico. “Non so dire se in suo favore ci sono state segnalazioni”, ha aggiunto De Gennaro, per poi precisare che “nella scelta del personale da adottare in questi impieghi si fa riferimento al loro percorso professionale”. “Quando nel 2019 Striano fu assegnato alla Dna fu fatto uno screening ed è stato ritenuto adatto per quel ruolo”, ha proseguito De Gennaro, senza però fornire altri particolari.
Ricostruita la carriera di Striano, trascorsa dunque tutta fra le mura dell’antimafia, De Gennaro ha poi affrontato il tema delle interrogazioni alle banche dati: “I nostri militari non possono accedere alle banche dati delle autorità giudiziarie ed è motivo per cui abbiamo mandato alcuni militari presso la Dna”. “Mandare dei militari presso la Dna al solo fine di farli accedere alle banche dati non era però lo spirito del distacco, che era consentire al gruppo Sos, e a coloro che avevano la diretta responsabilità successiva, di fare serie interrogazioni che consentissero una armonizzazione delle informazioni per capire se le Sos a carico di tizio fossero o no da inviare a una direzione distrettale antimafia”, ha precisato il numero uno delle fiamme gialle.
È importante ricordare che gli accessi alle banche dati sono consentiti solo ed esclusivamente attraverso rete informatica della Gdf. Ma per essere collegati a questa rete bisogna effettuare l’accesso da un comando della Gdf, dove i computer sono interconnessi, oppure essere dotati di una rete virtuale privata (Vpn). Fino a settembre 2022 chi operava presso la Dna non aveva né il Vpn né il collegamento diretto alla rete informatica.
Striano per poter fare gli accessi era così costretto a “sdoppiarsi”: tre giorni all’Antimafia e tre giorni presso il Nucleo Valutario, il reparto dove era formalmente assegnato.
Esploso lo scandalo, Striano è stato trasferito presso la Scuola marescialli de L’Aquila dove però nessuno l’ha visto. Forse è in ferie o forse è in malattia. Sul fatto, poi, che non sia stato sottoposto ad alcun procedimento disciplinare, De Gennaro ha affermato che è necessaria la richiesta di rinvio a giudizio o un provvedimento cautelare da parte della magistratura. “Finché non c’è, anche volendo e ricorrendo nei presupposti, non si può per legge instaurare un procedimento disciplinare”, ha sottolineato De Gennaro, dimenticando però che un finanziere, in caso di fatti particolarmente gravi, può ben essere sottoposto alla sospensione precauzionale facoltativa.
“L’impressione avuta è che Striano godesse di una fiducia generalizzata e che quindi tutte le sue promozioni, i suoi incarichi che nel corso del tempo di appartenente alla guardia di finanza ha sempre avuto erano motivati dal fatto che veniva considerato un sottufficiale affidabile”, ha commentato il senatore del Pd Walter Verini. “Mi è sembrato di capire che soprattutto dentro la guardia di finanza – ha proseguito – forse avrebbero dovuto essere intrapresi o stabiliti degli alert che però nessuno immaginava di dovere intraprendere per la fiducia di cui Striano godeva”.
“Le domande che ci poniamo sono su chi c’era dietro Striano per vedere questi accessi, se ha agito da solo oppure qualcosa è sfuggita di mano
nel sistema di controllo della Gdf. Se è così è preoccupante perché chi doveva controllare probabilmente non lo ha fatto bene”, sono state invece le parole del forzista Mauro D’Attis.
Striano, si è poi scoperto, in passato aveva partecipato come teste ad un processo contro l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, morto latitante a Dubai a settembre del 2022, accusato di associazione mafiosa dalla Procura di Reggio Calabria. Le udienze si sono svolte fra il 2015 ed il 2016, periodo in cui Federico Cafiero De Raho era procuratore della città calabrese, prima di essere nominato alla Dna.
“È necessario capire se nella scelta del finanziere più adatto possa aver influito il giudizio positivo che di lui aveva dato Cafiero De Raho”, ha affermato allora il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin.
“De Gennaro ha spiegato che è buona regola che i nominativi dei militari distaccati presso gli uffici giudiziari siano condivisi con i capi di quegli uffici. Ciò vale in generale, ma anche, aggiungo io, per la Dna”, ha aggiunto il parlamentare azzurro.
“Sono rivelazioni inquietanti quelle emerse e che rafforzano l’ipotesi che Striano non abbia agito da solo nell’inchiesta sull’illecita attività di dossieraggio. De Gennaro conferma, infatti, l’esistenza di una scala gerarchica e di figure di autorità superiori, ben consapevoli delle azioni compiute, e che avevano anche il compito di controllare il lavoro che lo stesso svolgeva”, ha affermato il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti.
“La testimonianza di De Gennaro – ha aggiunto – evidenzia anche come le
responsabilità non possano essere circoscritte alla guardia di finanza, ma coinvolgano anche la Dna: resta ancora un intricato ‘verminaio’, così come definito dal procuratore Cantone”.
Ed è proprio la figura di Cafiero De Raho ad essere ancora una volta al centro delle polemiche.
“La sua partecipazione ai lavori della Commissione antimafia, sui dossieraggi avvenuti nella Procura antimafia è assolutamente inopportuna. C’è un palese conflitto di interesse, per avere svolto Cafiero De Raho la funzione di procuratore antimafia”, ha ricordato il presidente del gruppo di FI in Senato Maurizio Gasparri.
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