Fu così che Enrico Boselli diventò presidente della giunta regionale, mentre a Pierluigi Bersani toccò il ruolo di vice: e come sarebbe andata a finire nessuno può dire, perché l’esperimento due anni dopo sarebbe stato bruciato nel falò di Tangentopoli, e Boselli - benché non toccato dagli scandali - sarebbe stato costretto alle dimissioni. Anche in Emilia, però, il Pds si fece abbagliare dalle luci di quel falò, e ritenne di poter mantenere il proprio ruolo a prescindere dal terremoto che aveva travolto il sistema politico in cui aveva prosperato. Finché, nel 1996, a Parma si aprì la breccia attraverso la quale due anni dopo Guazzaloca avrebbe conquistato a Bologna palazzo d’Accursio. L’episodio è emblematico, per cui vale la pena raccontarlo per intero. Nella petite capitale si era formata una lista civica guidata dal presidente delle Acli Elvio Ubaldi e da Gustavo Ghidini (nipote ed omonimo del deputato socialista di Parma all’Assemblea costituente). Sull’altro lato, invece, Mario Tommasini, popolarissimo assessore comunista ai tempi della riforma Basaglia, guidava la lista di Rifondazione. Entrambi – Ubaldi e Tommasini – proposero al Pds la propria candidatura a sindaco, ed entrambi vennero respinti: ma alla fine fu eletto Ubaldi, che al ballottaggio si permise perfino di rifiutare l’apparentamento con le liste di centrodestra, mentre Tommasini superò comunque il 10%. Da allora gli eredi del Pci emiliano-romagnolo compresero di non essere più autosufficienti, e di avere perso ogni egemonia: tant’è vero che da Bologna sul treno per Roma salivano soltanto personalità estranee alla tradizione comunista (da Prodi a Parisi, da Fini a Casini), e che per riconquistare il Comune fu necessario ricorrere ad un podestà straniero come Sergio Cofferati. Del resto non è un caso che Bonaccini abbia guidato una legislatura eletta soltanto dal 37,3% degli aventi diritto: così come non è un caso che ora, secondo l’Istituto Cattaneo, il 28% degli elettori non sa dove collocarsi fra destra, centro e sinistra, mentre si considerano di sinistra o di centrosinistra il 30% di quanti voteranno per i partiti del centrodestra o per il M5s ed il 33% degli indecisi. Bonaccini che chiede il voto disgiunto, quindi, non è un paradosso: è un tardivo approdo al senso di realtà. Magari favorito dalla considerazione che piazza Maggiore, dopo avere ospitato il primo Vaffa day, è stata riempita da migliaia di sardine evidentemente insoddisfatte dell’offerta politica presente sul mercato (non solo di quella di Salvini). Ed anche dalla constatazione che, pur essendo il Pd al governo, nessuno si è degnato di chiedere il suo parere prima di introdurre la tassa sulla plastica o quella sulle auto aziendali: l’esatto opposto di quello che faceva il Pci quando difendeva i trasferimenti ai Comuni emiliani e la spuntava benché fosse all’opposizione.