Caso Eni, perché i pm De Pasquale e Spadaro vanno a processo: “Avevano nascosto le prove”

Nel processo Eni-Nigeria per corruzione internazionale, la Procura di Milano ha nascosto delle prove che avrebbero dimostrato l’innocenza degli imputati. Lo ha stabilito ieri il gup di Brescia Cristian Colombo che ha rinviato a giudizio il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale ed il pm Sergio Spadaro, titolari all’epoca del fascicolo. I due magistrati, in particolare, non depositarono “volontariamente” dei video e delle chat in cui era evidente la macchinazione nei confronti dei vertici del colosso petrolifero. Il processo inizierà il prossimo 16 marzo.

A nulla sono valse le giustificazioni di De Pasquale di aver agito nel pieno esercizio dei propri doveri d’ufficio. “Se si possono sindacare con lo strumento penale le valutazioni che fa un pm in dibattimento – aveva dichiarato De Pasquale in aula -, beh, non dico che siamo a livello di Erdogan, però quasi”. Concetto ribadito dalla difesa dei due magistrati milanesi, rappresentata dall’avvocata Cristina Malavenda, secondo cui il mancato deposito di prove favorevoli ai quindici imputati, poi tutti assolti, non fu un omissione contraria ai loro doveri, ma una scelta che rientrava nelle loro prerogative sulla “discrezionalità” dell’attività di udienza. L’udienza preliminare di ieri si è celebrata secondo le nuove regole della riforma Cartabia sul processo penale. Il gup, pertanto, avrebbe potuto emettere una sentenza di proscioglimento se gli elementi di prova non avessero consentito una “ragionevole previsione” di condanna in dibattimento.

L’indagine della Procura di Milano voleva dimostrare la corruzione di Eni e Shell per ottenere la concessione dei diritti di esplorazione del giacimento Opl245 nel golfo di Guinea. De Pasquale, titolare del dipartimento reati economici transazionali aveva ipotizzato il pagamento di una maxi mazzetta da un miliardo di euro da Eni direttamente ad esponenti del governo nigeriano. Le anomalie nella conduzione del procedimento vennero segnalate dal pm Paolo Storari che aveva apertamente accusato De Pasquale. In quel periodo, secondo Storari, vi era una precisa linea da parte dei vertici della Procura del capoluogo lombardo di “salvaguardare” i testi del processo Eni-Nigeria da possibili indagini per calunnia. Tra le prove raccolte non depositate, un video in cui Vincenzo Armanna, un ex manager dell’Eni, manifestava l’idea di vendicarsi contro i suoi ex capi che lo avevano licenziato. Il video, finito nel fascicolo sul cosiddetto “Complotto Eni”, non venne depositato nel processo principale a carico dell’ad Claudio Descalzi.

“Questo fascicolo dobbiamo tenerlo chiuso nel cassetto per due anni”, avrebbe detto De Pasquale a Storari. Il mancato deposito era stato duramente stigmatizzata dai giudici del dibattimento di primo grado nella sentenza di assoluzione, divenuta poi definitiva per la decisione della Procura generale di non proporre appello. Il rinvio a giudizio costringerà adesso il Csm a definire la pratica per incompatibilità ambientale nei confronti di De Pasquale. Ed anche la posizione di Spadaro è in bilico. Il magistrato presta ora servizio alla Procura europea. Difficile possa essere confermato con una accusa di tale gravità.