L’ex capo della Procura di Napoli, Giovandomenico Lepore, ha chiesto scusa per gli errori commessi nei confronti dell’ex governatore campano Antonio Bassolino. «Non dovevamo aprire tutti quei fascicoli», ha detto prima di sottolineare come don Antonio abbia «pagato le spese» di quella strategia investigativa. Le parole di Lepore sono da apprezzare e il Riformista gliene ha dato atto. Però c’è un altro passaggio, nell’intervista che l’ex procuratore di Napoli ha rilasciato due giorni fa al Corriere del Mezzogiorno, che merita una riflessione approfondita. Lepore, infatti, spiega che, attraverso le loro iniziative giudiziarie, i magistrati intendevano «spingere i sindaci a intervenire, a darsi da fare». Così la Procura partenopea pensò di contestare l’epidemia colposa a diversi pubblici amministratori. «Funzionò abbastanza bene, servì da sprone», ha concluso l’ex capo dei pm partenopei.

Dalle parole di Lepore emerge una verità della quale molti sono a conoscenza, ma che troppi stentano a riconoscere esplicitamente. E cioè che le Procure tendono a disegnare una cornice – se non proprio a orientare – all’azione politica e amministrativa. Succede spesso, molto spesso, forse troppo spesso. Soprattutto nelle fase emergenziali, quando i pubblici amministratori sono chiamati ad affrontare situazioni particolarmente complesse districandosi nel marasma di leggi che caratterizza l’ordinamento italiano. È in quel momento che sindaci, governatori e addirittura ministri restano impantanati. Ed è in quello stesso momento che la magistratura comincia a svolgere un ruolo di supplenza, piegando il diritto alla necessità di orientare e sollecitare l’azione politica e amministrativa. Qui sorge il problema: non c’è una sola norma, nella nostra Costituzione, che attribuisca un simile potere alle Procure. Anche perché, se così fosse, sarebbero sovvertiti tutti i principi sui quali si fonda lo Stato, a cominciare da quello della separazione dei poteri. E le conseguenze potrebbero rivelarsi devastanti.

Alla luce di tutto ciò, non si può non rivolgere una domanda alla Procura di Napoli e alle altre attive nel nostro Paese: il modus operandi indicato da Lepore rappresenta ancora la stella polare dei pm? In quante circostanze, oltre quella che ha avuto come protagonista Bassolino, la magistratura ha indirizzato l’azione della pubblica amministrazione o le si è addirittura sostituita? La domanda non è peregrina. Se quella indicata da Lepore costituisce ancora la strategia preferita dalle Procure, è lecito e ragionevole ritenere che per la Campania e per il resto d’Italia sia destinata ad aprirsi un’altra stagione di inchieste giudiziarie e di processi destinati a risolversi in clamorosi flop. E non vorremmo essere nei panni di chi, come Bassolino, dovrà trascorrere decenni nel solito (e vergognoso) tritacarne mediatico-giudiziario.

Se il metodo illustrato da Lepore non dovesse essere considerato legittimo perché non previsto dalla Costituzione, invece, sarebbe ora che qualcuno approfondisse il tema e facesse luce sulle modalità con cui sono state aperte e condotte tutte le inchieste che hanno coinvolto pubblici amministratori nel corso degli ultimi anni. Perché sulle istituzioni incombe un dovere di trasparenza e perché le regole vanno rispettate da tutti, sempre e comunque. Il vero garantismo è questo, non altro.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.