Il piano
Caso Mondragone, il fallimento del masterplan di De Luca
Che fine ha fatto il masterplan per la rigenerazione del litorale domizio-flegreo? Conosco la storia di questo progetto, so che dietro c’è una persona seria e competente come l’assessore regionale Bruno Discepolo, e mi ha sempre confortato il fatto che sia stato affidato all’architetto Andreas Kipar, a detta di molti uno dei massimi esperti del settore. Proprio per questo torno a riformulare la domanda. Che fine hanno fatto gli input di Discepolo, le idee rimodulate nel piano di Kipar e quelle raccolte in mesi e mesi di consultazioni di amministratori, imprenditori e rappresentati di associazioni sociali e territoriali?
La ragione per cui torno sull’argomento è ovvia. Il litorale domizio-flegreo va dal Volturno al Garigliano, si estende per 75 chilometri e su quest’area insistono 14 comuni da Monte di Procida a Sessa Aurunca. Tra questi c’è Mondragone, e proprio nel centro di Mondragone, non lontani dal mare, ci sono gli ormai tristemente famosi palazzi Cirio: cioè il nuovo simbolo di un’Italia impantanata in un accanito susseguirsi di emergenze, una più grave dell’altra, dal terremoto del 1980 al Covid di questo inverno e ora anche di questa estate. I fatti sono noti. L’istituzione della zona rossa, il conflitto tra residenti storici e occupanti abusivi, l’incapacità di gestire la situazione, l’aggravante della polemica elettorale e la sostanziale impotenza dello Stato di fronte a uno scenario determinato da anni e anni di irresponsabile incuria, non a caso scelto come location ideale per film sulla marginalità urbana e sulla catastrofe socio-ambientale. Se c’è un momento buono per tirare fuori dai cassetti il progetto di risanamento, dunque, è sicuramente questo. Sarebbe un grave errore se, mentre una parte dell’amministrazione regionale è alle prese con l’emergenza sanitaria, un’altra non si occupasse della prospettiva urbanistica portandosi avanti con il lavoro e rendendo così più plausibile lo scenario ultimo indicato a suo tempo da De Luca.
Vale la pena ricordarlo. Due anni fa, per presentare ufficialmente il masterplan, il governatore scelse significativamente la sede milanese della Regione Campania, perché l’intento era assai ambizioso: si puntava meritoriamente a intercettare capitali nazionali ed esteri. Bene. In quella occasione il governatore ribadì che il litorale domizio-flegreo sarebbe diventato la nostra riviera romagnola, mentre Kipar aggiunse che con quel progetto la Campania avrebbe potuto costituire “il laboratorio sulle infrastrutture verdi del Sud Italia”. Vasto programma. Ma attenzione: un vasto programma del tutto in linea con le scelte strategiche indicate dal governo per rimettere in moto il Paese. Dunque, ben posizionato per attirare ulteriori risorse finanziarie. Tuttavia, per un vasto programma non servono solo queste. L’esperienza ci dice che un piano è realizzabile solo se è voluto davvero dalla cittadinanza – come è successo a Genova con il ponte sul Polcevera – e se vive nel dibattito pubblico, se alimenta un concreto confronto di merito.
Viceversa, se diventa argomento di esclusivo interesse degli addetti ai lavori, allora è finito: è destinato a diventare oggetto di distruttive nostalgie, come sta succedendo a Bagnoli. Che, guarda caso, è proprio quel pezzo di territorio che, collegato a Napoli, introduce la città nei Campi flegrei e la proietta nel litorale domizio. A questo proposito, mi ha però colpito il fatto che, nella sua conferenza settimanale, affrontando il caso Mondragone, De Luca non abbia fatto neanche un cenno al masterplan. È un brutto segno.
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