Novità nel caso di Antonio Morrone, carabiniere morto nel 1989 di tumore all’intestino dopo aver lavorato per anni nella stamperia della Corte Costituzionale di Roma, a contatto con diverse sostanze cancerogene e per cui non sono mai stati riconosciuti né la causa di servizio, né il compimento di alcun reato. La famiglia del carabiniere, guidata dal figlio Walter, ha inviato al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del ministero della Giustizia la richiesta di un’ispezione ministeriale nel Tribunale di Roma, che è stata pre-accolta e trasmessa all’ispettorato generale.

Quella di Walter è una battaglia per ricostruire la verità sulla vicenda del padre lunga trent’anni, fatti di un iter complesso e doloroso tra tribunali civili e penali, con scontri tra perizie, chiusure e riaperture del caso, oltre a difficoltà di procedimento dovute all’autonomia giurisdizionale della Corte. Lo aveva raccontato a noi de Il Riformista in una lunga intervista lo scorso settembre. Quel nostro stesso articolo è stato trasmesso all’ispettorato generale del ministero, assieme a una lunga istanza già presentata alla Corte Costituzionale nel 2015. In questo fascicolo, tra le altre cose, ci sono una perizia tecnica in cui è scritto che “la malattia di Antonio Morrone è insorta per le disagevoli condizioni ambientali in cui ha operato per 13 anni” e la richiesta del giudice Otello Lupacchini di avviare un’indagine approfondita sulle misure di prevenzione e sicurezza sul lavoro nei locali della Corte.

La richiesta di ispezione ministeriale nel Tribunale di Roma presentata dalla famiglia Morrone
La richiesta di ispezione nel Tribunale di Roma presentata dalla famiglia Morrone

“Nel 2002 – ci spiega Walter Morrone – abbiamo avuto un’archiviazione definitiva sul lato penale senza un vero approfondimento della storia. Ora ogni possibile reato è prescritto, visto il tempo che è passato, e quindi non possiamo più presentare denunce. Ma ci rimane questo strumento: chiediamo al ministero della Giustizia che venga fatto un accertamento perché abbiamo il forte sospetto che il verdetto sia stato pilotato, o quanto meno non ci sia stata la volontà di andar contro un’istituzione come la Corte costituzionale e in particolare il superiore di mio padre, l’allora segretario generale. Insomma per vedere se ci sono state delle irregolarità nel Tribunale di Roma”.

La speranza della famiglia è ancora quella di poter restituire giustizia al carabiniere, anche con effetti per chi è ancora punibile. “Volendo – aggiunge Walter – gli ispettori, se accertassero che i fatti sono veri, potrebbero fare una richiesta di provvedimento disciplinare nei confronti di quei magistrati che hanno trattato questo procedimento a Roma: Nicola Maiorano, Claudio Tortora e Margherita Girunda“.

Il figlio dell’ex lavoratore nella stamperia della Corte è consapevole di quanto questa opzione sia “difficile”, ma non si arrende. “L’attuale ministra Marta Cartabia – conclude – è stata per anni presidente della Corte Costituzionale e non ha fatto nulla per aiutarci. Ora parla di necessari processi brevi e giusti, bene: speriamo che il suo ministero intervenga nel nostro caso per riparare a quanto avvenuto”.