Tre soggiorni a San Casciano dei Bagni (SI), uno a Favignana (TP), uno a Madonna di Campiglio (TN), uno a Dubai e uno a Madrid. Sette viaggi per un totale di 7.619,75 euro. L’indagine di Perugia che ha travolto le toghe italiane e ha “consegnato” la maggioranza nel Consiglio superiore della magistratura al gruppo di Piercamillo Davigo ruota intorno a questi sette soggiorni effettuati da Luca Palamara fra il 2014 ed il 2017 e pagati dall’imprenditore e lobbista Fabrizio Centofanti. È quanto emerge dal provvedimento di sequestro preventivo nei confronti di Palamara disposto lo scorso 4 marzo dal Tribunale umbro.

L’emergenza Covid-19 deve aver risvegliato dopo mesi di silenzio gli inquirenti: in circa duecento pagine, con dovizia di particolari, il gip di Perugia Lidia Brutti ricostruisce la genesi dell’intera indagine, iniziata nel 2016 dalla Procura di Roma nei confronti di Centofanti, svelando gran parte delle carte in mano all’accusa. Il tema su cui si concentra l’attenzione degli investigatori è il rapporto, iniziato nel 2008, fra Centofanti e l’ex consigliere del Csm ed ex presidente dell’Anm. Una relazione, afferma il gip, «inquinata da interessi non confessabili».

«Centofanti – scrive il gip – da tempo operava come ‘lobbista’, aveva svolto attività di lobbying per conto di importanti gruppi imprenditoriali, nelle sedi politico/istituzionali. In tale ambito operativo aveva mirato ad accrescere la propria capacità di influenza intessendo una rete di relazioni con rappresentanti di varie istituzioni e con soggetti a loro volta portatori di interessi di importanti gruppi di pressione, alcuni dei quali avevano svolto tale ruolo in modo disinvolto e talora illecito». Il rapporto fra i due, sottolinea il gip, è “opaco” e “anomalo”. Il motivo? Gli incontri avvenivano “soltanto con modalità semi/clandestine”, con numerose accortezze da parte di Centofanti, come ad esempio “lasciare il telefono in auto” prima di incontrare Palamara.

Tale rapporto, che espone a pericolo di «pregiudizio l’imparzialità e il buon andamento della funzione pubblica esercitata da Palamara», manca però della pistola fumante. «Non vi è prova che Palamara abbia compiuto in conseguenza delle utilità ricevute atti contrari ai doveri d’ufficio» e «non vi sono elementi sufficienti per affermare che un effetto dannoso sia stato concretamente prodotto», puntualizza il magistrato umbro. Sui fascicoli rinvenuti nell’ufficio del pm romano e sottoposti a sequestro, «non vi è prova che Palamara abbia effettivamente dato seguito alle segnalazioni ricevute».

«Io ho scontato il fatto – si difende Palamara – che con tutto quello che ho fatto nella carriera ho ricevuto segnalazioni e richieste da parte di tanti», in primis «magistrati e forze dell’ordine». Per i magistrati le segnalazioni non riguardavano solo gli incarichi direttivi ma anche per “la legge 104”. «Non dico mai no, ma cerco di rallentare, di non esaudire nella speranza che le persone desistano. Quando è possibile, nei limiti del consentito, cerco di esaudire le richieste come ho fatto con tantissime persone», aggiunge Palamara. Nella tesi investigativa gli inquirenti contestano a Palamara l’articolo 318 del codice penale nella formulazione introdotta dalla legge Severino del 2012, “corruzione per esercizio della funzione”.

Il reato svincola la punibilità dalla individuazione di uno specifico atto ricollegandola al generico “mercimonio della funzione”. Insomma, Palamara sarebbe stato a libro paga di Centofanti, anche se non è chiaro a quale scopo, dato che, è lo stesso gip a ricordarlo, «il contributo del singolo consigliere non può assumente rilievo determinante nell’ambito dei processi deliberativi di un organo collegiale e non sono stati individuati specifici comportamenti anti/doverosi attribuibili a Palamara».

Il sospetto, allora, è che qualcuno fra le toghe abbia voluto preparare il classico “piattino” a Palamara nel momento in cui la magistratura italiana aveva cambiato rotta. Con Unicost, la corrente di centro di cui Palarmara era stato per anni ras indiscusso, che aveva rotto lo storico rapporto con le toghe di Magistratura democratica per allearsi con la destra giudiziaria di Magistratura indipendente. Alleanza che aveva determinato, ad esempio, l’elezione nel 2018 del vice presidente del Csm David Ermini (Pd).

Il 16 maggio scorso, avvisato dal collega Luigi Spina che la Procura di Perugia ha trasmesso l’informativa al Csm, Palamara capisce di essere finito nel mirino. In una concitata telefonata con la sorella Emanuela, avvenuta il successivo 29 maggio, Palamara si sfoga: «Me la vogliono far pagare». Il pm romano, dalla scorsa estate sospeso dal servizio, è assistito dagli avvocati Roberto Rampioni e Benedetto Marzocchi Buratti. Nel procedimento disciplinare sarà invece assistito da Stefano Guizzi, consigliere della Corte di Cassazione.