Caso Pesci, il Consiglio di Stato annulla la nomina ma le toghe se ne fregano…

Ultimi fuochi a Palazzo dei Marescialli. È attesa per oggi la ‘rinomina’ del pm Stefano Pesci, storico esponente della sinistra giudiziaria, quale procuratore aggiunto di Roma. Pesci era stato nominato la prima volta a febbraio del 2020. A seguito del ricorso del collega Nicola Maiorano, il Consiglio di Stato, in data 14 settembre 2022, aveva però annullato la nomina, accogliendo tre dei quattro motivi di ricorso. Su una questione, in particolare, i giudici di Palazzo Spada si erano soffermati, censurando l’operato del Csm: Pesci, nella domanda, aveva omesso di segnalare che nella stessa Procura era già in servizio, quale procuratore aggiunto, la moglie, Nunzia D’Elia. Si veniva a creare, quindi, quella situazione di incompatibilità prevista specificamente dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Il Consiglio di Stato, non solo aveva ravvisato un “vizio istruttorio” in quanto l’omessa segnalazione aveva “di fatto impedito un vaglio effettivo del rilievo della situazione di incompatibilità”, ma aveva anche sottolineato che tale condotta antigiuridica del magistrato era rilevante sul piano disciplinare e, addirittura, penale. La nuova proposta a favore di Pesci, formulata dalla togata Alessandra Dal Moro, anch’essa espressione della sinistra giudiziaria, non tiene però in alcun conto quanto stabilito dal Consiglio di Stato. Infatti, conclude sul punto affermando che “detta situazione di incompatibilità non poteva dirsi né conclamata né non rimovibile” (tanto che è stata appunto rimossa), facendo riferimento al fatto che un anno e mezzo dopo la nomina del marito e dopo la ‘strategica’ apertura di una pratica di trasferimento d’ufficio, la moglie di Pesci, nominata cinque anni prima e che nulla di censurabile aveva commesso, si era indotta a lasciare l’ufficio. In altri termini il Csm aveva aperto una pratica di incompatibilità alla magistrata non per qualcosa che avesse fatto ma per qualcosa che aveva invece fatto esso stesso, vale a dire la nomina del marito.

L’argomento della consigliera Dal Moro, tuttavia, stride con la sentenza del Consiglio di Stato che aveva enunciato un principio tanto elementare quanto chiaro, secondo il quale “la legittimità dell’atto impugnato va valutata al tempo in cui è stato emanato il provvedimento, a prescindere dunque dal successivo mutamento dei fatti”. Non si comprende, infatti, come la “situazione di incompatibilità non potesse dirsi conclamata” poiché da un lato il rapporto di coniugio di Pesci risultava, conoscendo il rigore morale dei magistrati italiani, dai registri dello stato civile, dall’altro le conseguenze giuridiche che ne scaturivano dovevano essere note alla consigliera Dal Moro poiché poco tempo dopo lo stesso Csm aveva deliberato l’apertura della pratica di incompatibilità nei confronti dei suddetti coniugi.