Il caso
Caso Pifferi, indagate per favoreggiamento le psicologhe di San Vittore: “hanno aiutato la donna a fornire versione diversa”

Indagate dalla Procura di Milano due psicologhe del carcere di San Vittore che hanno assistito Alessia Pifferi durante la detenzione. Alla base dei presunti illeciti commessi, in particolare, da una delle due professioniste, ci sarebbe, come ipotizzato dagli inquirenti, un movente “antisociale”, anche perché, come risulterebbe da alcune conversazioni intercettate, la professionista, 58 anni, avrebbe detto che con la sua attività voleva scardinare il sistema, “goccia dopo goccia”, salvando quelle che lei riteneva vittime della giustizia.
Intercettazioni in carcere: psicologhe accusate di favoreggiamento e falso ideologico
La polizia penitenziaria ha eseguito perquisizioni nei confronti delle due professioniste, accusate di favoreggiamento e falso ideologico. I consulenti della Procura hanno parlato di “colloqui clinici e test psicoattitudinali realizzati in violazione dei protocolli”, con un atteggiamento da parte delle psicologhe non di “descrizione clinica” ma di “estrapolazione deduttiva di una vera e propria tesi difensiva”. Indagata per falso ideologico anche l’avvocatessa Alessia Pontenani, legale della donna. Alessia Pifferi è a processo per omicidio pluriaggravato per avere lasciato morire di stenti, nel luglio 2022, la figlia Diana di 18 mesi, abbandonandola in casa per 6 giorni.
La telefonata tra la psicologa e l’avvocato Alessia Pontenani
Agli atti ci sarebbe una telefonata tra la psicologa 58enne, che ha lavorato anche nel carcere di Opera, e l’avvocatessa, nella quale, stando alle indagini, le due si sarebbero complimentate a vicenda dopo l’effettuazione su Pifferi e gli esiti del test psicodiagnostico di Wais, secondo cui la donna, a processo per l’omicidio della figlia, avrebbe un quoziente intellettivo da bambina. Test non “fruibile né utilizzabile a fini diagnostici e valutativi”, secondo il pm.
“Aiutata a fornire una versione differente da quella data all’inizio”
I pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro davanti alla Corte d’assise di Milano, si erano opposti alla richiesta di sentire le psicologhe come testimoni se non in “una veste processuale” diversa e cioè come indagate in un procedimento connesso.
“La ricostruzione alternativa della realtà” in ottica difensiva
I pm avevano dichiarato in aula che Alessia Pifferi sarebbe stata aiutata a fornire una “versione differente rispetto a quella che spontaneamente aveva fornito sin dall’inizio” e il loro non sarebbe stato “un percorso di assistenza alla detenuta” ma “di rivisitazione dei fatti contestati in un’ottica difensiva” che ha portato a “una ricostruzione alternativa” grazie a una serie di “colloqui” avvenuti “con ritmo frenetico” prima delle udienze del processo.
Le parole del legale della psicologa
“Sorge il fondato sospetto che tale perquisizione nasconda finalità estranee alla condotta commessa dalla mia assistita e voglia indagare sulla sua attività lavorativa complessiva, accusandola più per il merito dei pareri espressi che per il metodo con il quale si è pervenuti a tali pareri”. Lo spiega in una nota l’avvocato Mirko Mazzali, legale di una delle due psicologhe perquisite oggi e indagate per il caso di Alessia Pifferi.
“Trattasi di provvedimento finalizzato alla ricerca di documenti in possesso dell’istituto penitenziario e quindi facilmente rintracciabili, che pone sotto sequestro cellulari e computer per cercare fantomatici rapporti con una detenuta, nonché documentazione concernente altre detenute non oggetto dei capi di imputazione”, chiarisce il difensore.
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